2) Francesco Merlo, “Stanza 707″ (Bompiani) La recensione di Roberto Cotroneo sul Messaggero / TRA IL GIOCO E IL SAPORE DELLA LINGUA MAGGIORATA

Di ROBERTO COTRONEO
(Il Messaggero 15 marzo 2014) – Credo sia arrivato il momento di fare chiarezza su cosa sia la letteratura e cosa sia il giornalismo. Non è un dettaglio da poco, perché i due termini per molti anni sono stati tenuti lontani e distinti da un accademismo vigile e un po’ escludente: scrittori da una parte e giornalisti dall’altra. I giornalisti erano degli scrittori costruiti con materiali più poveri, per intenderci. Se la scrittura vera era di fatto un pavimento in legno di ulivo, il giornalismo era un pavimento in linoleum che imitava l’ulivo fin quasi a confondere il lettore, a dargli un’illusione di autenticità del legno. Era giusto? Era vero? Esiste una scrittura alta e una scrittura che arranca, e che della scrittura alta ha delle caratteristiche,ma non tutte? In molti lo hanno creduto. In realtà non esiste una scrittura giornalistica e una scrittura narrativa. Parlo dal punto di vista linguistico, si intende. È evidente che le regole per un buon articolo non sono le stesse che servono a mettere a punto un buon romanzo. La letteratura è ambigua per definizione, il giornalismo vuole chiarezza, etica e incontrovertibilità. La letteratura è immorale, non vuole regole. Il giornalismo deve sempre contenere una bussola che non faccia mai perdere la strada della comprensione a nessuno.
Da molti anni, con alterne fortune, i giornalisti si sono misurati con il romanzo. Ed era inevitabile. La scrittura narrativa è affascinante, libera, e ti permette di raccontare cose che anche gli inviati più brillanti e attenti non possono sempre permettersi. Inviati brillanti e attenti come Francesco Merlo, ad esempio, che esordisce con un romanzo davvero curioso: Stanza707 (Bompiani, pp.186, €16.00) Curioso perché al di là delle peripezie grottesche dei suoi personaggi – una sorta di romanzo d’azione che prende in giro i libri di genere, ma ci finisce dentro consapevolmente – è la lingua di questo libro che mi colpisce. Una lingua portata a un vero livello di dissoluzione. Dove tutto è maggiorato, come fosse una fotografia in cui alteriamo i livelli di contrasto, di esposizione, di saturazione dei colori, dove le ombre sono nerissime e i bianchi quasi ti abbagliano. Dove tutto quello che accade ha una gradazione e un’intensità maggiore del consentito. Dove tutto è più granuloso di quanto dovrebbe: dai pensieri dei protagonisti, al modo di risolvere una situazione paradossale e folle, all’attenzione per la bellezza, al male e al malaffare fino al sesso. E poi alla letteratura, le terzine di Dante, il medio Oriente, una Parigi impossibile e claustrofobica. Tutto è “tanta roba” in questo libro che sembra un’installazione letteraria ardita, più che un romanzo vero e proprio. Un gioco, per molte pagine divertente, dove il barocco non è abbastanza, dove la quantità di cose che accadono è così incontrollabile da costringerti quasi a prendere appunti per non perderti.
Il risultato è sorprendente. Merlo si è liberato della scrittura giornalistica. Ha strappato il linoleum, ha messo il parquet, quello vero, con la paura di non avere abbastanza legno, con l’angoscia di non essere abbastanza letterario, con la fretta di svuotare sulle pagine di questo libro tutto quello che è stato fino ad oggi: l’inviato in Medio Oriente, il corrispondente da Parigi, il lettore di gialli ma anche l’ammiratore di un Brancati venato di Genet (curiosamente non citato nella bibliografia finale, come stranamente non è citato Sciascia). Tutte cose che sento sul fondo di queste pagine come si sentono certi aromi lievi in vini ambiziosi. Merlo ha un modo di descrivere gli ambienti, i volti e i corpi visivo e vischioso. Come una resina profumata che ti appiccica le dita. C’è tutta la letteratura siciliana in Merlo,ma poi c’è anche l’insostenibile leggerezza delle redazioni dei giornali, e quella voglia di voltare pagina, di togliersi di dosso il vecchio piombo dei caratteri dei giornali e sostituirlo con una letteratura visionaria che non ha più bisogno di giustificazioni. E che si può permettere di ignorare la realtà per farti entrare nel meraviglioso mondo del paradosso.

2 thoughts on “2) Francesco Merlo, “Stanza 707″ (Bompiani) La recensione di Roberto Cotroneo sul Messaggero / TRA IL GIOCO E IL SAPORE DELLA LINGUA MAGGIORATA

  1. vuesse gaudio

    ▐ La contro-storia di Francesco Merlo?▐
    Io penso che forse un giorno mi capiterà di leggere il romanzo di Merlo. Addirittura Cotroneo tira in ballo la differenza tra scrittura(!) giornalistica e scrittura narrativa…Oh, mio Dio, una delle meraviglie della natura, avrebbe scritto Woody Allen, tolto un albero d’estate, anche perché Scarlett Johansson non era ancora nata, è la differenza posta da Roberto Cotroneo tra scrittura giornalistica e scrittura narrativa, che mi fa venire in mente quel famoso articolo natalizio di Enzo Biagi , pubblicato il 21 dicembre sul “Corriere della Sera”, ma non ricordo l’anno, al momento, in cui il giornalista ricordava Adriana Ivancich e lui ch’era andato a intervistarla e lei che era incinta e nell’articolo per descriverla la descriveva come Ernest Hemingway aveva descritto la protagonista diciannovenne del suo “Across the River and into the Trees” (© 1950), che, poi, a seconda di come statuivano i biografi e traduttori ufficiali dello scrittore americano, era e non era speculare ad Adriana Ivancich, insomma non erano tanto certi che fosse lei, poteva essere benissimo quell’altra; fatto sta che mi colpì non poco quell’articolo tanto che dovrei da qualche parte avere il ritaglio, ma mi dicevo come si fa a intervistare questa donna incinta del marito e parlargli di Hemingway, ma senza che lui dicesse, per la chiarezza giornalistica, quando l’aveva intervistata, dove, e neanche precisasse se quella che stava intervistando, così incinta, fosse in qualche misura identica a quella che diciannovenne e non incinta il romanziere aveva raffigurato con quella descrizione che il giornalista riportava nell’articolo del 21 dicembre?…Non so se ve lo ricordate quello che scrisse Roland Barthes , a mettere la differenza tra “scrivente” e “scrittore”, ve lo ricordate? Certo, Francesco Merlo non è un pirla, lui sa che chi sottoscrive ogni tanto si affaccia qui perché ne vale la pena, ma quando si cavalcano alcuni cavalcavia di raccordo tra letteratura, che non esiste ed è futuribile, e cronaca, è come se si volesse farvi passare il prodotto (dell’ingegno) a futura cassa dei librai, il che se è scontato per l’industria culturale non lo è di certo per i letterati: ecco, forse, la scrittura, anche adesso che c’è Scarlett Johansson, è così che vive, della differenza che il suo metabolismo ingenera rispetto all’industria culturale in cui, per cui, si produce, o non si produce(per fare un nome, vedi Morselli). Detto Morselli, mi sorge un interrogativo: e se Francesco Merlo fosse dentro il genere della “contro-storia”?

  2. essevù dolor

    Il fatto che si sia ributtato nel duro e pragmatico lavorìo giornalistico la dice probabilmente lunga sugli esiti, e sui ritorni economici quindi, della sua “Stanza 707″, alla cui porta pare (anche dal numero di commenti di questo blog: uno, sconclusionato e reoconfesso peraltro di non averla neppure letta) non bussino molti lettori. E dire che queste 187 pagine di “cielo in una stanza” i suoi 16 euro cash li vale tutti, e chissà quanto tempo dovremo aspettare per vedere un’altro Merlo romanziere. Se lo rivedremo. Suscettibile com’è, da sangue siciliano, può darsi che vi metta una croce irrevocabile: mai più romanzi. Ho ceduto il libro, dandolo in affidamento, a una glottologa, divoratrice di libri, e di romanzi in specie. E ne attendo con ansia il verdetto. Ma l’idea di questo noir semicomico, semitragico e semiserio che nel frattempo se n’è fatto un lettore della domenica come il sottoscritto (al quale le oltre 200 pagine di un libro fanno venire il magone) è che l’autore abbia giocato in casa. Si sia tracciato cioè, come leitmotiv, psicologie, situazioni e personaggi fantastici ma reali, fantasiosi ma verosimili. In quella piece dentro la stanza d’albergo parigino (che forse non esiste), dove alla fine una larvata sindrome di Stoccolma trionfa su sbirri più o meno dotati, fanno scalo una serie di problematiche ben impresse e conosciute. Dai due balordi, apprendisti rapinatori, in trasferta a Parigi da quella via catanese (che forse esiste) dove zio Gino è fabbroferraio del malaffare. E poi i quartieri fantasma (che forse esistono) di Beirut con i cecchini appostati e la triste irrisolvibilità dei drammi attorno. E quelli di Parigi, le sue banlieu, dove si consumano squallore e disumanità dei “miserabili” d’oggi giorno. E quindi le formiche brasiliane, lo studio esilarante sugli odori. E le terzine di Dante che, come quel vecchio che nella sperduta foresta amazzonica leggeva romanzi d’amore, offrono un pezzo di colore e di improbabilità a un aspirante “uomo d’onore”. Magari, sembra vi trapeli, la mafia fosse di tal fatta: goffa e balbuziente, indecisa e, infine, sorprendentemente umana. Il perfetto travestimento “da femina”, oltrecchè uno sberleffo a cosa nostra, assicura a uno dei protagonisti se non un futuro mafioso sicuramente un futuro d’attore. E su tutto però sovrasta la presenza femminile. Una presenza dominante e, a tratti, affascinante. Se è questo il concetto che il romanziere ha delle donne anche nella realtà, che giochi in casa il cerchio si chiude. Gioca sicuramente in casa quella scrittura solita (perchè maggiorata?), del giornalista iperbolico che con la penna riesce come Maradona riusciva col pallone. Una scrittura che ha ben retto la lunga distanza (il dubbio del sottoscritto).Tanto agile e stringata nelle azioni dentro la stanza (da sembrare di leggere un innocuo Simenon e un’altro Merlo), quanto inventiva e funambolica, quella di sempre, nelle visitazioni siciliane, o parigine o libanesi. Articoli romanzati, è sembrato di leggere, o romanzi giornalistici. La scrittura, e mi permetto di dissentire da Cotroneo (quello della quarta ballata di tanti anni fa?), o è buona o non è. Un unico neo (posso?): che fa capo ai “pizzini” transumanti sotto la porta. Nel marchingegno escogitato la grafologia è riuscita a fare il suo ingresso, ma forzosamente. La “lettura dell’anima” di chi scrive è possibile ma, stando alle mie reminiscenze giovanili, è possibile solo con il minuscolo e non, come avviene nel romanzo, con il maiuscolo. Scienza romanzata, appunto, o romanzo scientifico, che nulla toglie alle buone trovate investigative del neoromanziere. Che attendiamo, al varco e a breve, con un bis di conferma. Baciamo le mani.

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