L’ULTIMA SCONFITTA DELL’UTOPIA DELLO SVILUPPO NELLA TERRA DEI DIAVOLI / De Luca, lo sceriffo rosso stravaccato su due poltrone

Piu spaccone che socialista, piu campiere che sindaco, Vincenzo De luca sarebbe un ordinario mammasantissima, un tipico prodotto del plebeismo carismatico meridionale alla Achille Lauro se non fosse un uomo di sinistra. Sembrava, sino a ieri, il meglio e il peggio del sud mischiati in una ganga compattissima: il riformatore che aveva restituito dignità a un territorio desertificato e lo sceriffo guappo che sottometteva la città alla sua legge, padrone e al tempo stesso governatore coraggioso: con lui Salerno è diventata una delle più vitali e solari città del sud, con un water front moderno e funzionante, belle strade, grandi architetti e conti in ordine.
Ebbene, tutto questo successo gli ha dato alla testa. E adesso che ha deciso di non obbedire neppure al Tribunale civile, in lui ha definitivamente prevalso il sangue pazzo del meridionale sul politico arguto e virtuoso. E butta fumo dalle narici, subisce il Diritto come una soperchieria, insulta il ministro Lupi che da mesi gli chiede di scegliere: “figurati se mi faccio ricattare da uno come te”. E non cede neppure ai giudici. E’ la versione salernitana del siciliano Mirello Crisafulli, del piemontese Cota, del lombardo Formigoni, è il notabile – ma di sinistra – che mette se stesso al di sopra di tutto, come fosse un altro unto del Signore.
E’ arrivato, in questo suo ‘teppismo democratico’, a fare l’elogio dell’immoralità “che ci permette di governare”, ha esibito come scalpi le indagini alle quali è sottoposto, di cui non ci occupiamo, e dalle quali gli auguriamo di uscire pulitissimo: “Io sono orgoglioso. In questo paese siamo tutti indagati. Non c’è un amministratore che non abbia un avviso di garanzia. Chi non ce l’ha è una chiavica”. E ha sempre cercato cariche: quando era eletto alla camera si ricandidava come sindaco; da sindaco si candidava come presidente della Regione; e, podestà di Salerno, ‘sindaco per sempre’ più di Orlando a Palermo, ha golosamente accettato di fare il sottosegretario. E ha candidato pure il figlio, proprio come fecero Raffaele Lombardo in Sicilia e Bossi in Padania: “Quelli che ce l’hanno con mio figlio sono cialtroni e farisei”.
Avrebbe dovuto dimettersi allora, nell’aprile del 2013, quando venne nominato ai trasporti nel governo Letta. L’incompatibilità infatti non ha bisogno di sentenze, si impone per evidenza: se vuoi amministrare (bene) i trasporti d’Italia non hai certo il tempo di governare (bene) Salerno. E’ roba da fantuttone, da “ghe pensi mi” che purtroppo tradotto in salernitano rimanda al pregiudizio della prepotenza antropologica: “A Salerno mi votano anche le pietre”. Solo Brunetta avrebbe voluto fare allo stesso tempo il ministro della Funzione pubblica, il sindaco di Venezia e il deputato. I doppi incarichi e l’amministrazione come accumulo di roba non sono mai stati valori di sinistra, e non basta certo il tifo da stadio dei salernitani che lo eleggono per acclamazione a farne un eroe al di sopra della legge, come gli indimenticabili briganti delle due Sicilie.
E poi c’è quel parlare a gesti, quel lessico da duro pittoresco, una lingua impastata di esclamazioni, minacce, rancori e ripicche. E intanto si tocca, fa le corna e gli scongiuri, si gratta perché Lupi porta sfiga: “non si sa mai, ho due figli, abbiate pazienza: una grattatina”. E “la grillina Lombardi vada a mori’ ammazzata”, “il collega del pd Zoggia sembra un raccoglitore di funghi” “il doppio incarico è una palla!”, “coglioni!”, “dei rom me ne frego!”, “le discariche vanno aperte con il carro armato”, “nel Pd c’è un gruppo dirigente di miserabili e il partito vive nella demenzialità”, “spero di incontrare quel grandisismo sfessato e ‘pipì’ di Marco Travaglio di notte e al buio”, “Grillo sta con il panzone al sole”, “Monti si mette il chihuahua sulla testa”…
Gli archivi e i blog sono pieni delle gag di De Luca e su Youtube è più cliccato di Ficarra e Picone. Ovviamente è molto parodiato, si ride di lui, è una specie di fattucchiero, una riedizione del Rosario Chiarchiaro interpretato da Totò… In realtà tutto questo divertirsi è una smorfia dolorosa, una partita sospesa sul Sud d’ Italia, quello dei notabili e dei capibastone. De Luca, caudillo liberale (“sono gobettiano” dice), è l’ennesima sconfitta, forse quella definitiva, dell’utopia dello sviluppo nella terra dei diavoli: da poveri a ricchi, da attardati a veloci, dall’ indolenza alla nevrosi, dall’ immobilismo all’ iperattivismo. Nella misera del guappo democratico stravaccato su due poltrone c’è la morte di un sogno antico che è anche nostro, il sogno di tutti i meridionali d’ Italia, di un Paese che per tre quarti è Meridione.

6 thoughts on “L’ULTIMA SCONFITTA DELL’UTOPIA DELLO SVILUPPO NELLA TERRA DEI DIAVOLI / De Luca, lo sceriffo rosso stravaccato su due poltrone

  1. Gianni

    E’ la politica come malattia, come dipendenza di corpo e di spirito. Un “io” smisurato, spesso anacronistico e fuori misura che, per esempio, da noi ha fatto sì che quasi ottantenni (magari passate le forche caudine di tangentopoli) si ripresentassero in lista e, in dote a un elettorato di lungo corso ma anch’esso anacronistico e fuori misura, rioccupassero il vecchio scranno del potere e la vecchia trafila di una volta (consiglio regionale, presidenza di commissione, assessorato). “Sono dentro, quindi sono”, è la filosofia esistenziale dei “rieccoli” della politica intesa come desco personale, come posto a tavola nel banchetto del potere. Fuori, magari a passeggio coi nipotini o, se fosse il caso, profondendo il loro “scibile” politico in altro modo, è la morte dell’anima. Il virus di cui sono affetti è già stato testato in laboratorio. E’ il virus del narcisismo politico, dell’autoreferenzialità, dell’arraffa-arraffa totale contro le leggi del tempo e dello spazio, e del senso minimo della misura. A suo tempo, e le pretese del povero De Luca di oggi un po’ arrossiscono, ci fu da noi, in questa isola martoriata dal vento, chi ricopriva insieme (contati uno a uno) ventitre incarichi di genealogia politica, ventitre gettoni di presenza coi quali adornava il proprio carniere esistenziale suscitando sui consimili invidia e deferenza. Caro Vincenzo, è vero che l’appettito vien mangiando, e che anche le pietre che lo votano sono per l’abbuffata dei laticlavi, governo e comune, il potere logora chi non l’ha e a Salerno, giustamente, tutti sono orgogliosi del loro sceriffo governativo, del loro bounty killer di prebende, di fascie sul petto da ostentare. Ma, dia retta: opti. Non lasci la nazione sulle spine, scelga, e subito. Magari con una moneta, testa o croce, comune o ministero. Riversi volontà e capacità di fare su una sola poltrona. Non dia alle malelingue di insinuare che eventuali manchevolezze siano dovute a questo gratuito superattivismo, a questo smaccato staccanovismo che, in tutti gli altri campi, da noi, è davvero merce rara.

  2. Angelo Libranti

    A me di De Luca non frega nulla, ma a completezza dell’informazione giova puntualizzare che De Luca non aveva nessuna delega, quindi un Sottosegretario solo nominato e che a Roma, per sua stessa dichiarazione, non faceva nulla. Insomma non è uno stakanovista, piuttosto sembra una questione personale fra lui e Lupi.

  3. Felix

    Peggio ancora se non ha nessuna delega a Roma. La responsalibità è anche di chi ha nominato (senza far nulla) questa fetecchia democratica col piglio hitleriano. Italia, paese dei cachi.

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