LA KYENGE E L’OSSESSIONE DEI BARBARI

Non credo che la legge consenta il sequestro preventivo di un giornale che commette ogni giorno istigazione al razzismo. E sospetto che ai disperati della Padania questo farebbe piacere. So che sicuramente bisognerà ricordarsi la data di ieri. La pubblicazione sul quotidiano leghista della rubrica razzista “Qui Cécile Kyenge” segna infatti il superamento di un’altra soglia di civiltà, il superamento di un altro punto di non ritorno della barbarie italiana, che rimanda più ad atmosfere di dissoluzione antropologica che al putsch fallito della birreria di Monaco.

Con la loro nota furbizia pavida, il leader Matteo Salvini e la direttrice responsabile del giornale Aurora Lussana, capi di una gagliofferia ridotta ormai a minoranza di violenti, dicono che è «solo informazione sull’attività del governo» elencare ogni giorno tutti gli appuntamenti della signora che, sempre ieri, al Senato è stata definita ministra «della negritudine» e accusata di «demenza» dal capogruppo Massimo Bitonci.

Eh, già: non è mica colpa di Salvini e della direttrice se ormai, dovunque vada, la ministra viene oltraggiata dai razzisti di una Lega sempre più in calo di consensi, un partito corroso dagli scandali e ridotto al nocciolo duro della xenofobia, agli ultras che non riescono a riempire le piazze ma le incendiano: a Torino a sostenere il governatore Roberto Cota e la sue mutande verdi erano meno di mille.

Costretti per la verità a misurarsi con le rumorose organizzazioni della peggiore marginalità di estrema destra, i capetti di questa Lega si compiacciono, con risatine da osteria, nell’esibire l’elenco delle mascalzonate contro la Kyenge, dal lancio di banane all’esposizione di manichini insanguinati, ai cori “fuori dai coglioni”.

E ora accentuano l’allusione intimidatoria dicendo ammiccanti che «gli spostamenti della Kyenge stanno già sul sito del ministero» quasi fosse anche il loro giornale, come quel sito, uno strumento di consultazione e non un laboratorio di militanza. Aggravano insomma il significato persecutorio dell’iniziativa parlando di «un servizio ai lettori della Padania che sono curiosi e vogliono andare ad ascoltare il ministro».

Ci fosse qualche omissione nella rubrica c’è dunque il self service: i lanciatori di banane possono informarsi da soli e preparare alla signora l’accoglienza che merita «un orango», «un’esponente del governo bongo bongo», «una degna di essere stuprata», «una straniera seguace della poligamia»…

Tutto questo pasticcio paranoico è stato bene espresso dal solito Mario Borghezio, che ieri sera si è precipitato alla Zanzara, il suo fondaco abituale, la trasmissione di grande successo di Radio 24, microfono aperto degli urlatori, che svela l’Italia più dei sondaggi e più dell’Istat: «Buona caccia ai cacciatori padani. È una rubrica dedicata ai cacciatori padani per cercare il leprotto Kyenge… ». A Borghezio l’idea pare «brillante, salviniana e futurista». Ecco: sembrano deliri alcolici con Salvini, Bitonci, Lussana e Borghezio che si muovono in combriccola. È una gang di bulli squinternati, un sostenersi reciprocamente nel buio.

Come si vede, non è solo un ritorno alle origini del movimento, che per più di venti anni è stato importante nel Paese: qui c’è la consapevolezza di avere perso la partita e dunque la necessità di buttare in aria il tavolo. La Lega ha bisogno di provocare la rissa dentro cui legittimare lo scacco. E il razzismo, che si eccita davanti al colore della pelle della Kyenge, è la riserva aurea di chi non ha più nulla, l’ultimo dente del forcone.

Perciò fa bene la Kyenge a smontarli ora con l’indifferenza e ora con l’ironia: «La Padania chi?». E non è uno sberleffo ribaldo come il famoso «Fassina chi?» di Renzi, ma è un banale certificato di inesistenza geografica e storica, una stanchezza personale che non è sottovalutazione perché la Kyenge sa che il razzismo rimane una brutta bestia anche quando non è accompagnato da studi genetici, teorie moebiusiane, e neppure delle dotte corbellerie d’antan del professore Miglio sul popolo lombardo.

È vero che non è questo il primo naufragio professionale del giornalismo usato come manganello. Abbiamo infatti visto altri tentativi di mettere in piedi le gogne. Recentemente il blog di Grillo è stato attrezzato come plotone d’esecuzione con il giornalista Travaglio nel ruolo qui interpretato dalla direttrice della Padania, la picchiatrice onesta che istiga e nega, perseguita e fa finta di informare, impagina e sbianchetta: «Non c’è mica scritto andate a picchiare la Kyenge. Noi siamo contro la violenza». Perbacco. Che cos’è questo giornalismo? Di sicuro non è più il mestiere di informare, neppure i lettori di un partito; non c’entrano nulla le notizie, i commenti e le opinioni che, per quanto fegatose ed espresse con linguaggio maleducato o smodato, sono comunque lecite e qualche volta necessarie.

E qui c’è in più il razzismo che da patologia sociale è diventato l’ossessione come unica linea politica. Lo spasmo bilioso che alimentò il mito fondativo della Lega è la sua ultima trincea. Si spiegano così l’invito allo stalking e la proposta, non esplicita ma chiara, della punizione collettiva. In questa istigazione agli atti persecutori aggravati dalla discriminazione razziale c’è ovviamente l’insidia dell’agguato, il presagio dello scontro fisico: «Venga al nord, ministro, la aspettiamo e la accogliamo molto volentieri con delle belle sorprese. D’altra parte lei è un oracolo, tutti i giorni ci dà delle lezioni» ha aggiunto quel diavolo goffo di Borghezio.

In Italia c’è purtroppo una sacca di marciume e c’è un nesso tra le minacce orribili dei No Tav al senatore del Pd Stefano Esposito e al cronista della Stampa Massimo Numa, l’incitamento alla lapidazione degli avversari e dei giornalisti, la voglia di colpire le singole persone, le minacce degli animalisti ai ricercatori scientifici, sino agli insulti a Caterina Simonsen, affetta da una malattia genetica: «Puoi morire anche domani».

In questo senso la rubrica razzista di un giornale contro la ministra nera rimanda ai metodi della guerra civile, alimenta un rumore crescente che nel Paese sovrasta l’intelligenza, simula e surroga il temibile passo cadenzato.

7 thoughts on “LA KYENGE E L’OSSESSIONE DEI BARBARI

  1. eva

    mi sembra che lei abbia un po’ esagerato e che il tempo delle egemonie politico-culturali-sociologico-morali a cui la sua personale visione dell’etica e della giustizia si rifà sia più che superata.
    i cittadini di oggi e di domani hanno voglia di partecipare in maniera aperta e di decidere in maniera pragmatica, niente più paraventi pseudo-ideologici, niente più “verità” dettate da partiti o organi di stampa da loro controllati.
    basta con questa finta morale, basta con la supponenza di giornalisti schierati e parziali come lei.

  2. Flavius Impestatus

    Potrei essere quasi d’accordo su tutto ma non sulla presenza della Kyenge nel Governo. Perchè? Che significato ha? Chi è? Che meriti ha? Cosa sta facendo? Mi pare che oramai sia relegata a “elemento di distrazione di massa”.
    Il razzismo non verrà sconfitto da una Ministra nera ma solo dal tempo, quella strana dimensione che misura il trascorrere delle nostre vite e degli eventi che accadono in ogni istante. Sarà la generazione dei miei figli (4 e 6 anni) a cancellarlo. Un nero, un albanese, un rumeno o una cinese saranno solo compagni di classe o amici per uscire a divertirsi.
    La Kyenge è, per assurdo, uno spot per il razzismo e il suo articolo, caro Merlo, un potente megafono per diffonderlo.
    Lasciamola perdere ma soprattuto lasciamo perdere i razzisti. Non meritano assolutamente nulla. Solo il silenzio e l’oblio.

  3. volty

    (SU) TUTTI I BARBARI

    —<quote> «« Che cos’è questo giornalismo? Di sicuro non è più il mestiere di informare, neppure i lettori di un partito; non c’entrano nulla le notizie, i commenti e le opinioni che, per quanto fegatose ed espresse con linguaggio maleducato o smodato, sono comunque lecite e qualche volta necessarie.
    »»—</quote>

    Gia! Questa era da scrivere a proposito degli articoli (eufemismo) della giornalista oggetto della denuncia di Grillo, ma si è preferito rovesciare la logica ed attaccare Grillo, ignorando il teppismo che scatenò la denuncia di Grillo, con tanto di accuse alquanto bizzarre che provocarono la rabbia degli ingenui (e talvolta rozzi – che sono presenti ovunque) militanti e simpatizzanti
    Qui siamo a due pesi e due misure: si possono impunemente insultare (si trattava di soli insulti) gli eletti del M5S e Grillo ma non lo si può fare con Kyenge.

    Perché? Perché lei nera e i m5s bianchi?
    No, non può essere.
    No, non può essere che uno debba essere nero (o non etero) per essere difeso dai fari della civiltà.
    No, non può essere — perché si tratterebbe di (una specie di) razzismo, di discriminazione.
    No, non può essere che Kyenge acquisisca valore in virtù del del fatto che è oggetto di assalti da trogloditi.
    No, non può essere che certi giornalisti (difesi da altri, grandi, giornalisti) mantengano il loro (attribuito) valore perché insultano il M5S e perché, dopo, vengono premiati con la apparizione (con relativa citazione di merito) nella rubrica «Giornalista Del Giorno» sul sito di Grillo.

  4. GUIDO

    E’ LA POLITICA CHE HA ORMAI DEVASTATO L’ITALIA E TRIONFO DEL BERLUSCONISMO..CIOE'”TANTO SONOTUTTI UGUALI” QUINDI SULLE MACERIE PUO’ EMERGERE IL PEGGIO DEL PEGGIO.
    TRAGICA ITALIA

  5. ale

    Condivido sempre la Sua visione delle cose e adoro il modo in cui scrive…quando conduce prima pagina su Radio3 non mi annoio e trovo stimolanti le Sue risposte/reazioni. C’è solo da imparare, ma molti (lettori) non lo capiscono, La apprezzano e per questo pensano di potersi mettere “sullo stesso piano dialettico”. Poi ci sono quelli che sanno solo “odiare” e insultare (come reazione dei loro fallimenti, disagi, ignoranza e inferiorità)…Le mando un abbraccio e un Grazie.

    1. volty

      Troppi sudditi della sua maestà, la Sua Dialettica Superiore. :)

      Anche in Koreo Del Nord ci sono dei dissidenti che pretendono di potersi mettere sullo stesso piano dialettico del loro (seppur molto amato) leader.

      Il resto del suo lo si può condensare in «troppi cretini in giro — viva i non cretini!»,,. Ha solo dimenticato di attribuire anche mutande turchesi (oltre fallimenti, disagi e quant’altro da pissicanalisi dietrorinculante) ai dissenzienti.

  6. Laura Grazia Miceli

    Vale la pena citare una poesia di Primo Levi e il suo romanzo” Se questo è un uomo” e raccomandarla a chi non condivide le stesse opinioni e sputacchia sentenze. Chi sa se è consentito riportarla, vale la pena tentare.
    Se questo è un uomo

    Voi che vivete sicuri
    nelle vostre tiepide case,
    voi che trovate tornando a sera
    il cibo caldo e visi amici:
    Considerate se questo è un uomo
    che lavora nel fango
    che non conosce pace
    che lotta per mezzo pane
    che muore per un si o per un no.
    Considerate se questa è una donna,
    senza capelli e senza nome
    senza più forza di ricordare
    vuoti gli occhi e freddo il grembo
    come una rana d’inverno.
    Meditate che questo è stato:
    vi comando queste parole.
    Scolpitele nel vostro cuore
    stando in casa andando per via,
    coricandovi, alzandovi.
    Ripetetele ai vostri figli.
    O vi si sfaccia la casa,
    la malattia vi impedisca,
    i vostri nati torcano il viso da voi.

    Primo Levi

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