Le buffe riuonini dei saggi in via della Stamperia / GIOCANO A CAMBIARE LA COSTITUZIONE MA TENGONO IN PIEDI LA VERGOGNA DEL PORCELLUM

(Dal mensile dell’ANPI, PATRIA INDIPENDENTE, luglio 2003)
Ogni tanto, dalle loro riunioni segretissime nella stanza lunga e stretta di via della Stamperia dove si battezza il Divenire, si diffonde per Roma un po’ dello zolfo presidenzialista di Gaetano Quagliarello. E ogni tanto sul tavolone ovale si alza in volo a mezz’aria il premierato forte di Luciano Violante. Ma sempre, senza distinzioni di rango, quando uno dei 35 ‘piccoli padri’ parla, i tanti sottilissimi schermi al plasma moltiplicano il suo viso costituente come per meglio esporlo al fuoco della storia.
Attorno al tavolo per la verità non entrano 35 sedie e dunque bisogna ricorrere agli strapuntini che si ripiegano a parete, tanto più che ci sono altri sette saggi, ‘i redigenti’. E sono inoltre previste le incursioni dei ‘caschi blu’ del Parlamento, osservatori o meglio ancora ispettori che devono controllare che non si parli, che so?, di donne e motori ma soprattutto di scorporo e di doppio turno di coalizione, vale a dire di riforma elettorale, che sarebbe la sola riforma urgente da affrontare subito e dunque i saggi non la affrontano.
Tutti gli italiani sanno che solo l’abolizione del famoso Porcellum può intanto permetterci di rientrare nella Costituzione che si vuole cambiare e di tornare alla normalità democratica e politica. Invece la riforma elettorale è stata subordinata alla revisione della Costituzione e dunque messa in coda, vale a dire eliminata per imperio, ancora un volta, da Silvio Berlusconi.
Ma torniamo ai saggi che – è la democrazia, bellezza – hanno deciso di consultare per ben tre volte il Web. Due consultazioni saranno aperte a tutti con domande del tipo “l’internauta che condivide il semi presidenzialismo alla francese scriva oui, se invece è d’accordo con il cancellierato scriva ja”. La terza sarà invece a porte chiuse, anzi a Rete chiusa, limitata cioè ai costituzionalisti, ai professori, agli studiosi, che in Italia sono più numerosi dei tifosi di calcio.
Questo metodo di revisione della Costituzione via internet, – ha spiegato il presidente dei saggi, Gaetano Quagliarello – è ispirato ovviamente non all’articolo 138 che stabilisce come si riforma la Costituzione, ma nientemeno – ha detto con fierezza -“al metodo Brunetta” , il famoso ex ministro ‘fantuttone’ che nella sua epica lotta al ‘fannullone’ del pubblico impiego consultò il web (“ma com’è umano, lei” direbbe Fantozzi).
I lettori perdoneranno il tono scanzonato, ma davvero giocano a cambiare la Costituzione e a rifare l’Italia questi trentacinque saggi che, scelti con la supervisione del presidente Napolitano, ogni tanto si perdono tra le carte , le bozze, le contro bozze, i ghirigori e gli arabeschi dell’inesauribile veterano Francesco D’Onofrio, che nel lontano 1997 e poi ancora nel 2006, aveva già aveva interpretato il ruolo di piccolo padre costituente riscrivendo di sua mano l’Italia con le venti regioni “autonomissime”, che avrebbero dovuto scegliersi ciascuna la sua forma preferita di governo, la sua legge elettorale, il suo sistema scolastico, e poi entrate e uscite, polizia e tutto quanto: “é un progetto esplosivo” disse D’Onofrio e meno male che non esplose visto che mancava solo di accordare l’ autonomia alla mafia e alla banda della Magliana. (“Tutti sono d’accordo con me, solo mia madre è contraria al mio progetto di riforma. Piange perché è una donna profondamente unitaria”).
Oltre alla saggezza dei mezzo-politici e dei mezzo-professori c’è anche la sapienza dei professoroni della politica come Panebianco, Ainis, Barbera e poi Onida e l’ex rettore della Bocconi, Tabellini… Entro il 15 ottobre il verme-crisalide diventerà farfalla e il serpente muterà la pelle: i 35saggi presenteranno infatti il loro ‘progetto Italia’ alle due commissioni parlamentari per gli Affari costituzionali raggruppate insieme in una sorta di Bicamerale che porterà all’esame dell’aula parlamentare una organica, definitiva riforma della seconda parte della nostra Costituzione.
Ma non c’è da preoccuparsi: la missione è impossibile. E non tanto perché è sempre molto saggio dubitare della saggezza dei saggi ma soprattutto perché non si può trovare un accordo di scuola e una mediazione nella dottrina tra forze politiche che, con il pelo arruffato dalle nevrosi del paese e inseguite da plebeismi sempre più aggressivi, non hanno valori fondanti in comune e non sono pacificate né pacificabili attorno a pochi ma sicuri interessi sociali di lunga durata.
Non sono un costituzionalista e non voglio rubare il mestiere ai già troppi esperti, penso anche io che il nostro bicameralismo sia inadeguato e che sia necessaria una riduzione del numero dei parlamentari. Aggiungo che non è vero che il presidenzialismo, in sé, non è democratico e che sicuramente esistono magnifici modelli di premierato diversi dal nostro. Ma, applicando il buon senso, è sicuro che non si possono progettare nuove forme di governo che, per contagio , non cambino, sia pure senza dirlo o peggio ancora senza che nessuno se ne renda subito conto, anche i 54 principi generali che compongono il menù dell’etica italiana. Insomma non si può cambiare troppo la seconda parte della Costituzione senza tradire la prima.
Di sicuro una nuova forma dello Stato avrebbe conseguenze più o meno forti sui valori fondanti che ispirarono e pacificarono i padri costituenti (quelli veri), a partire dal lavoro, dall’antifascismo e dall’idea di Repubblica parlamentare. Ci sono nuovi valori comuni attorno a cui riscrivere la Costituzione?
Tutti capiscono che è rischioso mettersi a scimmiottare Togliatti e De Gasperi, ma qui c’è anche qualcosa di torbido, perché oltre a non essere costituzionale è – va detto con coraggio – profondamente ridicola la formazione di questa strana e macchinosa ‘terza Camera’, tempio della trasformazione presidenzialista all’italiana, basilica di San Pietro del decisionismo sia nella forma paraberlusconiana di Pitruzzella sia in quella meno rasposa dei renziani Ceccanti e Clementi.
Chi ha seguito da vicino “la grande occasione” ( così la chiamavano) della Bicamerale del 1997 ricorda come Silvio Berlusconi e Massimo D’Alema mostrassero di conoscere tutto dei sistemi costituzionali, da Panama a Tahiti, e che non c’era leader politico che, agitando il dito sentenzioso, non rimproverasse i giornalisti così: “E’ inutile, a voi mancano i fondamenti del Diritto costituzionale”.
Invece, e oggi più di allora, ben prima del Diritto costituzionale , a dividere le forze politiche sono i valori. Non le diverse ipotesi di scuola, non la battaglia dottrinaria tra parlamentaristi e presidenzialisti ma i principi generali che non sono più in comune.
Non credo che il Pd, Berlusconi e Grillo, vale a dire le tre forze che obbligatoriamente dovrebbero trovare i valori dai quali partire insieme e attorno a quali lavorare insieme, rappresentino davvero gli interessi degli italiani, come accadde alle forze politiche costituenti del dopoguerra, tutte laburiste antifasciste e repubblicane, anche se in modi diversi e tra loro conflittuali.
Certo, la sinistra bene o male ancora porta in Parlamento il mondo del lavoro. Ma, a differenza dei liberali e dei democristiani di una volta, Berlusconi non rappresenta gli imprenditori e il ceto medio, ma l’impresa illegale di rapina, la voglia di evasione delle partite Iva, un tumulto di interessi criminosi. E Grillo , che in questo momento sembra avere più parlamentari che consenso, ha dato rappresentanza alla volatilità del cattivo umore plebeo e degli sciamannati della Rete.
Ecco perché sono ridicoli i saggi che si atteggiano a Togliatti e a De Gasperi, non tanto perché sono, con significative eccezioni, figure modeste, ma soprattutto perché sanno – e sappiamo – che il sudato frutto delle dotte discussioni e delle travagliate riflessioni, goffamente composte nel marchingegno costituente di via della Stamperia, ha un solo scopo possibile, un solo obiettivo certo: condannarci alla dolente eternità del Porcellum.

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