QUELLA SCHEDA LUNGA COME UN BIMBO

La vera metafora della decadenza di Roma non è ‘La grande bellezza’ di Sorrentino ma la grande lunghezza della scheda elettorale, un metro e venti, come un bambino delle scuole elementari, come il fazzoletto che Ettore Petrolini tirava fuori dal taschino e non smetteva mai di tirare perché quel fazzoletto era lungo, sempre più lungo: un lenzuolo. E se fosse vivo Andy Warhol sicuramente plastificherebbe queste mostruose schede per metterle in cornice e magari le vulcanizzerebbe pure per farne degli ombrelli.
La sola cosa che non si può fare è usarle come schede, cioè portarsele in cabina, aprirle, leggerle ed esprimere i propri voti al candidato sindaco e al raggruppamento, poi aggiungere le eventuali preferenze. E non è facile, tenendo bene aperti questi mussoliniani “ludi cartacei”, decodificare i 19 candidati e i 40 simboli che sono i geroglifici che mistificano la realtà. Si va da ‘Salviamo Roma’ a ‘Forza Roma’ , da ‘Italia cristiana’ a ‘No alla chiusura degli ospedali’, da ‘Cantiere Italia’ a ‘Roma capitale è tua’, e ci sono ben 12 simboli che fanno capo a Ignazio Marino e a Gianni Alemanno, 6 a testa quindi per la famosa pesca di voti a strascico. L’operazione più difficile è rimettere a posto la scheda, un vero test di capacità manuale che, tra calcolo e ripiegatura, richiede dodici movimenti (né uno di più né uno di meno), stando molto attenti quando si gira la scheda sottosopra (bisogna farlo almeno due volte) perché e facile sbagliare e ottenere così delle ‘tasche’ che, incastrando i lati, formerebbero due orecchie di coniglio o due ali di farfalla che obbligherebbero poi gli scrutatori e il presidente di seggio ad annullare il voto a coniglio o il voto a farfalla.
Ma, come dicevamo, è come metafora della politica sempre meno in sintonia con il Paese, e soprattutto del pittoresco di Roma, che la scheda va guardata e appunto valorizzata. Una volta dispiegata, meglio di un saggio la scheda infatti spiega la tristissima bruttezza della nostra bellissima capitale che, come già scriveva il Gibbon, nel suo celebre e ineguagliato trattato di storia, “tra le rovine del Campidoglio contempliamo, prima con ammirazione e poi con pietà”. E chissà cosa scriverebbe oggi se potesse annettere la scheda elettorale più lunga del mondo nell’iconografia del suo libro.
Questa scheda infatti è la mappa della nostra degradazione. Aprendola, leggiamo, al di là dei nomi di Ignazio Marino e Alfio Marchini, di Marcello De Vito e Gianni Alemanno, i simboli anonimi e tutti uguali delle periferie anonime e tutte uguali, la periferia di Roma che non è città che comincia o finisce ma città che si sfinisce, e persino nei luoghi del pasolinismo, da Ostia sino a Torbellamonaca e Torpignattara il sottoproletariato , con felpa e cappellino, è pronto ai reality. E nella stramberia della scheda ci sono gli ambulanti di piazza Navona che vendono le cose più brutte nel posto più bello, e le facciate sbrecciate delle case storiche, la finta vita bohemienne di Trastevere con gli orribili graffiti spacciati per creatività, e le auto dei vigili urbani posteggiate sui marciapiedi come documenta il benedetto sito www.romafaschifo (sottotitolo: “chi ha ridotto così la città più bella del mondo?”), e i camion vela elettorali posteggiati all’Eur, e le bambine borseggiatrici della Stazione Termini e l’illegalità dei furgoncini-bar che smerciano immangiabili panini davanti al Colosseo e a tutti gli altri monumenti, e la cartellonistica abusiva, e i finti gladiatori attorno alle vestigia, e gli autobus che non arrivano mai e sono così affollati che “un povero ma onesto borseggiatore non sa come muoversi” è la battuta che raccolgo da un vecchio pizzardone che ha lavorato con il fratello di Andreotti. E si intravedono nella scheda i guasti della giunta Alemanno, l’inchiesta giudiziaria su 850 assunzioni all’Atac e altrettanti all’Ama, e infine il buco di bilancio di decine di miliardi di euro che fonti autorevoli di Bruxellles definiscono “un rischio sistemico che la città di Roma pone all’intera eurozona”, “un debito pari a quello dell’Austria”.
L’idea forte del film ‘La Grande Bellezza’ è il meraviglioso dettaglio fermo, lo splendido fotogramma inanimato, lo sguardo su Trinità dei Monti per esempio o la passeggiata al Gianicolo, una grande bellezza morta come i tempi di chi aspetta un autobus o vuole andare al mare o pretende di risolvere una pratica, i lunghi tempi della morte lunga, lunghi come la scheda elettorale.

3 thoughts on “QUELLA SCHEDA LUNGA COME UN BIMBO

  1. Costantino Condorelli

    Caro Francesco, hai centrato la questione: la bimbo-scheda è frutto di una amministrazione che ha separato la città ben oltre i suoi quartieri, in personalismi – magari i più onesti e benpensanti – che albergano in chiunque ritiene di avere la ricetta giusta ma che purtroppo per lui non va oltre il micro circondario della agorà “rivoluzionaria” che crede di rappresentare. Sono già preoccupato per i 12 movimenti-piega che domani dovrò fare sulla scheda e sto già facendo una ricerca sui conigli e le farfalle per studiarne le rispettive caratteristiche di orecchie ed ali.

  2. mariagrazia Baldelli

    Mi sono commossa nel leggere questo bellissimo articolo…non so aggiungere altro da romana dico che quasi non meritiamo la bellezza di questa città cari saluti Maria Grazia

    1. volty

      da romana dico che quasi non meritiamo la bellezza di questa città cari saluti Maria Grazia

      Da non romano dico che le disfunzioni forse sono proprio un (de)merito di quella bellezza.
      Troppa bellezza distrae. Troppa bellezza acceca, oscura la ragione.
      :)

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