Dopo la Milano di Berlusconi, la Roma di Andreotti, la Palermo di Falcone e Borsellino / GENOVA PER NOI E’ LA CAPITALE DELL’ITALIA DI OGGI

 

Genova per noi … è l’Italia di oggi. Ad ogni stagione della politica, infatti, l’Italia diventa una città. Questo è il tempo della Genova di Beppe Grillo e dei tanti genovesi di successo e di qualità, talenti debordanti e senza regole come la loro città-mondo. Non sono clan e non sono cosca, ma si vogliono bene attraverso i cieli carichi e le primavere leggere di questa nuova capitale politica che ha conquistato l’egemonia o – se preferite l’inglese del cretino cognitivo – ha preso il posto trendy e cool che fu via via della Milano di Berlusconi e della lega, della Roma di  Andreotti e del Papa, della Palermo di Falcone e Borsellino, della Bologna di Prodi, Casini e Fini ma anche di Dalla e Morandi.

Ebbene oggi Grillo è per la smodata Genova un’idea come un’altra,  la faccia buffa che ha preso un’antica indignazione carbonara, quella italianissima ma antipiemontese che partì appunto da qui, dalla scogliera di Quarto, con i soldi degli inglesi. Anche Paolo Villaggio che lo aveva maltrattato  – <Grillo non è una politica, è una cazzata> – dopo il successo elettorale ha riacceso il cuore genovese e lo ha paragonato a Mao: meglio di Mao, <un Mao allegro>. E non credo che Fantozzi- Fracchia sia uno dei tanti che, flaianamente neogrillini, stanno saltando sul carro, il diciottesimo canto di Alessio Interminei da Lucca, e da poco più di una settimana ‘non hanno mai la lingua stucca’.

All’ inverso Genova per lo smodato Grillo è Giuseppe Mazzini e Renzo Piano, le eccellenze maltrattate in Italia e amate all’estero perché italiane. Anche il grande architetto, che lavora moltissimo nel mondo ma in patria poco e tra mille ostacoli, è a suo modo un ghibellin fuggiasco, accudito a Parigi, dantesco e ramingo come il ‘cuore battente’ del Risorgimento, il massone della loggia segreta ‘Speranza’ alias fratello Strozzi alias dottor Brown, che fu accudito a Londra.

E per chi ama la tricostoriografia, cioè la storia a partire dai peli, c’è probabilmente anche  una barba genovese, quella di Piano e di Mazzini appunto, ma anche di Grillo, e di Antonio Ricci per esempio, che su ‘Striscia la notizia’ ha anticipato il grillismo, con la satira d’inchiesta,  la gogna, il gabibbo che è già un vaffanculo, il tapiro,  il qualunquismo antipartito,  le veline che diventano militanti; persino  la rotazione dei capigruppo  sembra ispirata alla rotazione dei conduttori, Greggio e Iachetti come Roberta Lombardi e Vito Crimi. Un’altra barba genovese è quella di Ivano Fossati che fu l’aedo dell’Ulivo di Veltroni con la sua ‘Canzone popolare’ e ora canta ‘Cara democrazia’ che sembra l’ inno della cospirazione grillina:  ‘ cara, cara democrazia / sono stato al tuo gioco / anche quando il gioco si era fatto pesante / così mi sento tradito / o sono stato ingannato …’.

   Quella genovese non è la barba saggia dell’autorevolezza , la barba, che so, di Platone e di … Cacciari, ma una maschera  che nasconde e che rivela, cospiratrice dunque e mai troppo folta com’è  invece quella apertamente rivoluzionaria di Marx o di Gesù o di Castro. E’ la barba della società segreta, metodica e tenace, è appunto il populismo di Grillo  che, come Genova, è una babele di lunga durata, una barba accudita e coltivata da anni, una barba carsica nella Rete. Più che a Scientology somiglia alla carboneria e alla massoneria, roba genovese appunto, con i gradi di iniziazione, gli apprendisti, i maestri e gli illuminati. E come in ogni loggia la ‘tegolatura’, che sarebbe  la trasformazione della pietra grezza in un vero affiliato, è affidata ad un fratello terribile che, in questo caso, è il milanese Gianroberto Casaleggio, visionario e  apocalittico Vecchio della Montagna che, in disparte, comanda con cenni di assenso e di diniego. Nella sua ‘Casaleggio associati’ impiega sedici persone che compongono il famoso staff, una specie di corpo di polizia internauta, e molti di loro sono pendolari Milano-Genova.

La Liguria, dove il Movimento 5 stelle è stato più votato, si sottrae alla macroregione del Nord sognata da Maroni (Lombardia), Cota (Piemonte), Zaia (Veneto)  e Tondo (Friuli), ma esprime in un modo tutto italiano, risorgimentale e cosmopolita, il  sentimento di ostilità verso la politica.  Il governatore è il diessino Burlando mentre il sindaco Marco Doria è sinistra fuori dagli schemi,  il marchese rosso, un’altra invenzione, un’altra conferma che è questo il laboratorio vincente, la polis che non è provincia, la patria bellissima delle personalità dilatate che acchiappano il mondo ma si ritrovano nel dialetto, la città che subentra a Milano il cui  declino sembra purtroppo inarrestabile: la tipicità genovese al posto di quella milanese dove si sono arroccati Berlusconi  e Maroni. Milano è stata la città municipio, la fucina delle scorciatoie, imbevuta del mito di se stessa come piccola grande patria cittadina, la modernità coniugata con l’eterno brambillismo dell’arricchirsi innanzitutto, la semplificazione, l’amore per la roba e la corruzione anche morale di Craxi,  di Berlusconi , di Penati, di Formigoni  e della Lega, una corruzione smodata che rimanda alla puzza delle case dei marescialli dell’esercito, la grettezza come odore perso nell’umidità e nella nebbia, un che di rancido della città italiana che è la più vicina all’Europa ma non è Europa perché in quella vicinanza c’è l’estraneità, una voglia di essere che, in quanto voglia, non è essere.  Milano è ancora oggi piena di Beccaria, intelligenze europee e comportamenti sordidi, una scintillante metropoli preannunciata da boari puzzolenti di letame vaccino, una città internazionale che trasuda la ruralità padana egoista e razzista, il celodurismo che si rivela gelatina.

Milano Municipio dunque, da sempre contrapposta a Roma-Stato, imprendibile e inspiegabile, come  il suo Andreotti.  Ormai non esiste un italiano che non sogni di processare Roma, sentina di tutti i vizi, la città Stato della dissipazione, degli sprechi, del vacuo, della corruzione e del potere, <la città tomba> diceva Stendhal.

Dopo Milano-Municipio,  Roma-Stato e Palermo-Antistato, ora tocca a Genova-Mondo, la città di Colombo con tutti i suoi moderni artisti anarcoidi. Luigi Tenco, per esempio, che fu personaggio stendhaliano, precursore dei disagi del sessantotto e poi Gino Paoli ,che con il suo pessimo umore e la sua scontrosità genovesi, è stato il poeta di quell’Italia adolescente che cercava il suo linguaggio adulto tra mille pregiudizi e mille tormenti. Il ruvidissimo Paoli è stato uno dei più grandi interpreti dell’amore nell’Italia repubblicana, la donna delle sue canzoni è figlia e sorella della donna di Pavese, di Fenoglio, di Bianciardi.

Se il milanese Berlusconi ricorse ai professori per cercare legittimazione e mitigare la sua rozzezza, al genovese Grillo basta esibire gli chansonnier che nell’Italia moderna valgono molto più degli accademici. E se vuole indicare un capo dello Stato c’è il suo amico Renzo Piano, che ovviamente si sottrae con eleganza, ma lo accarezza, è lontano dal suo estremismo ma non capisce come si possa giudicare pericoloso per la democrazia il vecchio Beppe, così simpatico, così divertente, così genovese. Anche il turpiloquio, l’autoritarismo un po’ squadrista e le strampalate proposte economiche e politiche diventano <il buono che fa la faccia cattiva>, sono il mugugno del genovese, esagerazioni e belinate, protesta anarchica, il codice del carattere mazziniano e garibaldino insieme, perché e vero che Garibaldi era di Nizza ma Nizza e Genova sono sorelle di mare e di terra.

E Grillo era amico di De Andrè che sta alla canzone come Leopardi sta alla poesia: ‘Bocca di rosa’ è ‘A Silvia’ e ‘Via del Campo’ è l’Infinito. In Italia il canto ha preso il posto del romanzo di formazione e Genova è stata la patria dei cantautori,  tutti sovversivi  grilloidi e agitatori, soprattutto gli introversi che neppure salutano per strada, visi abbronzati e nasoni, focacce e malinconia virile, anche Lauzi, anche Bindi… Importavano gli chansonnier ribelli mentre Berlusconi cantava quelli da crociera, Brassens contro Trénet,  Brel contro Chévalier.

C’è un santuario del populismo grillino, è la Genova degli artisti fuori misura, le personalità che oltrepassano i saperi definiti. Anche quel barbutissimo professore Becchi,  ordinario di Diritto privato, che  rilascia interviste da ideologo del grillismo, si confessa bordighiano che è una specie superstite solo a Genova, dove sicuramente ci sono seguaci persino di Rosmini e di Gioberti intorno al cardinale Bagnasco, non grillino di militanza, ma grillino di carattere.

E’ dunque  il momento di Genova, <parenti ci sentiam /di quella gente che c’è là /  e come noi è forse un po’ selvatica>, Genova  perché le città, almeno in Europa, non sono neutrali, tutte figlie di Atene e Sparta, più importanti persino degli Stati, e infatti se diciamo ‘Francoforte’ diciamo Banca e Bruxelles è l’Europa, l’autorità delle sue leggi …  L’Italia è il Paese del mondo più ricco di polis. Lo storico Le Goff ce le invidia  insieme alla cucina. Ma non le abbiamo provate tutte e mentre <ci chiediamo / se quel posto dove andiamo / non ci inghiotta e non torniamo più> ci viene in mente che ci sono, come direbbe Calvino che era ligure, anche le città invisibili, le città del forse, come la Firenze di Renzi per esempio dove magari si può andare senza la faccia un po’ così.

5 thoughts on “Dopo la Milano di Berlusconi, la Roma di Andreotti, la Palermo di Falcone e Borsellino / GENOVA PER NOI E’ LA CAPITALE DELL’ITALIA DI OGGI

  1. giovanni chianelli

    Caro Merlo,
    l’articolo entusiasma anche i non liguri.
    Felice di pensare a qualcosa, in Italia, qualcosa anche come un posto, e poi non vergognarsene.
    Scrivo dalla città dei crolli, la più italiana d’Italia, e guardo a Genova come una cugina che ha avuto più sorte.
    Stesso mare, stesse ripidità, stessi vicoli.
    Ma più orgoglio in giro, foss’anche la taccagneria da barzelletta, che magari è il parossismo dell’amor proprio.

    Sugli accostamenti musicali: lei è contiano sansepolcrista (ricordo un suggestivo accostamento da ‘Blue Haway’ nel suo ‘FAQ Italia’) ma su De Andrè l’abbinamento per ‘A Silvia’ è la ‘Canzone di Marinella’, per ‘Infinito’ meglio ‘La città vecchia’.
    Stia bene, Giovanni

  2. alberto nocerino

    Gent. Merlo, grazie dell’articolo, che è incoraggiante per Genova e l’Italia tutta che da qualche parte le risorse
    per far qualcosa di serio potrebbe anche nasconderle, e quindi trovarle.
    ovvio che a Zena non si fa altro che sentir lamenti quotidiani d’ogni sorta, ma il mugugno è libero e, si sa, non costa niente. Però le cose potrebbero andar peggio… se non altro non abbiamo conosciuto sindaci targati Berlusconi e forse non ne conosceremo mai, a questo punto. e abbiamo genovesi per il mondo che riverberano gloria sulla nostra città
    Scrivo però per ricordare che a tale gloria nel suo articolo manca un contributo, anche se sarà banale dirlo: quello dei poeti. Aabbondano le citazioni dei musicisti genovesi ma qualcuno ha detto che Genova è una capitale della poesia del Novecento, e basti la sequenza Montale Sbarbaro Caproni per essere concordi. Tutti poi con un carattere abbastanza in linea con i ritratti che lei dedica nel suo articolo ad altri genovesi illustri.
    Effettuata la segnalazione, volevo aggiungere che dal 1995 partecipo al Festival Int.le di Poesia di Genova che testardamente il suo creatore Claudio Pozzani porta avanti e che anche quest’anno sarà fatto. Mi occupo di organizzare (e scrivere e realizzare) i Percorsi Poetici, itinerari con una guida (o meglio un ‘cicerone letterario’), che prevedono la lettura, effettuata da poeti o attori, di testi poetici e in prosa che abbiano a che fare con i luoghi attraversati. Ne ho scritti in tutto una ventina, anche per Staglieno (assai gettonati dal pubblico).
    Può quindi capire come sia sensibile al tema.
    Se fosse interessato a seguire i ns Percorsi Poetici, può contattarmi quando vuole a questa mail.
    Cordiali saluti e complimenti ancora per il bell’articolo sulla ns città e, in generale, per il modo in cui svolge la sua professione di giornalista.
    Alberto Nocerino (GENOVA)

  3. anhelo libranti

    L’articolo, lungo e barboso, non rappresenta il miglior Merlo. Sembra piuttosto lo sfoggio di erudizione dove, gira, gira, va a parare nel solito posto. Per rendere il saggio più completo si poteva arricchire con citazioni della Bari di Emiliano, quello delle ostriche, con ritmi di pizzica tarantina, oppure la Sicilia di Lombardo, ex di Federico II, dove c’e da scrivere un saggio di quattrocento pagine. Poi c’è l’Emilia di Vasco Errani & Flavio Delbono, campioni di cooperative con l’iva ridotta e dagli affari sicuri, accompagnati dal vate Vasco Rossi, punto di riferimento dei giovani, senza calcolare i rozzi produttori di mortadella, dal cuore a sinistra ed il portafoglio a destra.
    Non si finirebbe più di citare uomini, regioni, intrallazzi e musica.
    Il Penati è stato toccato di striscio, nonostante Sesto San Giovanni abbia costituito, anch’esso, un capitolo di storia patria. A proposito, pare che l’istruttora sulla Milano Serravalle sia stata archiviata.
    In chiusura devo constatare come il blog sia piena di lecchini che, di soppiatto, propongono qualcosa. L’ultimo propone “Percorsi Poetici”.

  4. marco lodola

    Che lagna. Sembra il Pannella degli opinionisti…Consiglio il filosofo Salvatore Natoli su You tube e radio 3. Parole e ragionamenti interessanti .

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