NO AI PREMI

E’ vero, come ha scritto Le Monde, che rifiutare un premio equivale a prenderlo due volte, ed è sicuro che il Nobel Vargas Llosa guadagna prestigio ogni volta che rifiuta la presidenza dell’Istituto Cervantes, ma solo agli italiani, cittadini di Premiopoli, sembrano  matti o sospetti  (sotto sotto, come vedremo, per invidia) tutti questi ‘no’, la grande folla dei rifiutatori.  Ken Loach, per esempio, a Torino ha detto no  <perché sono comunista e qui ci sono i precari in lotta>. Jurassico? Il matematico russo Grigorij Perelman ha rinunziato al milione di dollari del Clay Mathematics <perché non voglio essere uno scienziato da vetrina e troppi soldi generano violenza>. Pazzo?  E il genio del fumetto francese Jacques Tardi qualche giorno fa ha respinto quella Legion d’Onore che sempre più i piccoli italiani agognano e sempre più i grandi francesi disdegnano. Furbo?  Anche la  scienziata Annie Thebaud-Mony in agosto aveva detto no a Hollande: <Sfido l’impunità che protegge chi compie crimini industriali>. Propaganda?

Certo, Jacques Tardi,  che  non vuole <premi da nessun potere>, solo  rifiutando è riuscito a rendere più popolare in Europa la sua Parigi a fumetti, che davvero è magica. Parigi è anche la città della ribellione, del ‘no’ come retorica e conformismo. <Jacques, se accetti sei un traditore> lo aveva incalzato il suo collega Philippe Druillet: <Avrei buttato i suoi libri e pensato di ucciderlo. Ma ha reagito come doveva>.

Come si vede è infantile l’idea del premio che imprigiona, fosse soltanto il proprio narcisismo: <Non riconosco a quel tribunale i titoli per  giudicarmi> disse Sartre dell’accademia del Nobel. Il premio ruba l’anima, come la caramella che perciò il bambino non ‘deve’ mai accettare dagli estranei, è il dono come potenza che <ti toglie la libertà> ha detto Lawrence Ferlinghetti rifiutando il prestigioso titolo dello Stato californiano di  “Poeta della Patria”. Il suo no, a 93 anni, è il coerente documento-monumento alla Beat Generation quando la strada era ancora un mito di libertà, di emancipazione e di vita. Oggi ‘On The Road’ è la dannazione di un ‘viaggio vacanze tutto compreso’: prima colazione e Nuova Frontiera, 4 buoni pasto e un ‘no’ di Ferlinghetti. Avesse detto sì, lo Stato ci sarebbe rimasto male.

Mai il rifiuto danneggia il premio. Anzi, lo ribadisce e lo rafforza come dimostrano quei ‘no’ che, fuori dal tempo e dal luogo, per sempre decorano le coscienze: Marlon Brando non ritirò l’ Oscar ma mandò una squaw a leggere una lettera sui diritti (violati) degli indiani; e Cassius Clay nel 1960 buttò nel fiume Ohio la medaglia olimpica e nel 1964 perse il titolo mondiale entrando in carcere: aveva stracciato la cartolina per il Vietnam. Ebbene, sia l’Oscar sia il campionato dei Pesi Massimi uscirono rinvigoriti dalla passione generosa e perdente dei loro eroi che sono come il capitano Achab <di cui i cani leccarono il sangue>.

Dimenticati sono invece il ‘no’ di Le Duc Tho al Nobel assegnato a lui e a Kissinger, <come posso prenderlo  insieme al distruttore del mio Paese?>, e tutti i premi restituiti che hanno qualcosa di patetico, sono violenze contro se stessi, e spiace ricordare Pietro Nenni che prima si gloriò del premio Stalin e  poi lo rispedì indietro nel 56, quando la Russia invase l’Ungheria e Stalin era morto. E ci sono anche i <sì, anzi no, anzi sì> come il ‘vaffa’ che lanciò Arbasino alla presentatrice del ‘Boccaccio’, ma poi ci ripensò e forse perché il piccolo premio non merita il grande rifiuto. Deve infatti essere blasonata e prestigiosa l’offerta per farti decidere, con orgoglio scanzonato e smisurato, che il premio non è adatto a te, come accadde a Montanelli che, secondo in Italia dopo Artuto Toscanini,  rifiutò il Senato a vita: <Un ergastolo da scontare in un angolo sontuoso e buio>.

Ci sono rifiuti che sono stati (pietosamente) dimenticati e  altri che onorano l’albo d’oro del ‘no’ come dimostra appunto la bisecolare Legion d’onore che espone, più ancora dei ‘si’, i ‘no’ di Brigitte Bardot, Simone de Beauvoir, Brassens, Camus, Prevert, Maupassant, Leo Ferrè….  Già nel 1867 era stata rifiutata da Gustav Coubert: <Lo Stato è incompetente in materia d’arte>,  e nel 1903  fu respinta da Marie Curie che accettò invece due Nobel e morì consumata dalle radiazioni che aveva scoperto e per le quali era stata premiata perché c’è sempre un rapporto stretto tra la malattia e il destino o, se preferite, c’è una ricchezza problematica della malattia: la follia del genio, la sordità di Beethoven… sino all’embolo al cervello  dell’ intelligentissima Hillary Clinton.

Tra i ‘no’ che fanno onore alla Legion d’onore ci sono Bernanos, Ravel e ovviamente  Sartre, che rifiutò tutto, persino il Nobel: < Nessun uomo merita di essere consacrato da vivo>. Pochi sanno che, molti anni dopo, Sartre,  ricco ma squattrinato, chiese all’Accademia il danaro del Nobel rifiutato. D’altra parte anche la squaw di Marlon Brando era in realtà un’attrice.

Esiste insomma una storia, una geografia, una retorica e un’aneddotica dei ‘no’ perché la  grandezza di un premio è fatta di anti-premio, di uno sprezzante controcanto che si nutre del canto e anche della sua putrefazione, come Festival e Controfestival di Sanremo. E sorprende di trovare tra i no anche un grande italiano, Mino Monicelli, visto che la Legion d’onore decora di vanità soprattutto i petti italiani: giornalisti, imprenditori, editori, architetti… tutti a caccia di esterofilia, che nel paese della premiomania, eredità del fascismo, è una polivalente disciplina di conforto, tra le più autorevoli pur non avendo (ancora) il rango accademico. Ecco perché ci fanno soprattutto invidia tutti questi ‘no’ ed è bene meditare sui 16O premi assegnati al ‘poeta’ Licio Gelli.

E i premi hanno nomi che si adattano alle cose che indicano, esiste un vero linguaggio della premialità italiana: il liquore dolciastro da vecchie zie dello Strega; e il Campiello, toponimo veneziano di piazzetta e di cortile,  come ottusa mondanità appunto da cortile, con quel Bruno Vespa a cui il premiato Antonio Scurati disse:  <Se il mio protagonista dovesse decidere di uccidere qualcuno stasera, sarebbe lei>.  E si arriva sino all’oltraggio del premio intitolato a Sciascia dato a … Silvio Berlusconi. Nel nome di Giovanni Falcone, Andreotti venne accusato delle peggiori cose di mafia. E però venne poi proclamato  <l’ uomo del secolo> dalla comunità italo americana e dal giudice della Corte Suprema  Antonin Scalia che aveva appena ricevuto il ‘Giovanni Falcone’. Ecco: il nome, illustre e venerato, come il Dio manzoniano l’ ha atterrato e quindi l’ ha innalzato.

Siamo il Paese dove ogni anno vengono solennemente consegnati migliaia e migliaia di leoni, gatti, gondole, pistacchi e cannoli d’oro, e le lauree ad honorem  non si negano a nessuno, ma uno solo, Fiorello, l’ha rifiutata. Siamo il paese dei titoli a vita, dei doni, dei condoni e dei perdoni, delle presidenze come parcheggio e consolazione, e persino delle leggi ad personam.  Come diceva l’ormai abusato Longanesi <in Italia i premi non basta rifiutarli, bisogna non meritarli>, ma ci è impossibile non provare una lancinante invidia per questa folla straniera di  ‘no’. Qui ci vorrebbe un solo ‘No’ collettivo, con la maiuscola, una sospensione decennale di tutti i premi, come una moratoria nucleare.

4 thoughts on “NO AI PREMI

  1. antonio pulito

    Premetto che sono un suo fan sfegato, i suoi articoli mi appassionano sia per contenuto che per forma, volevo segnalarle un appunto di un mio amico di Ramacca anche lui suo fan sfegatato a proposito del suo articolo del 31/12 su La Sicilia in cui si e’ sentito usurpato di residente nel paese capitale dei carciofi a favore di Raddusa, le rinnovo tutta la mia stima ed affetto e mi piacerebbe tanto abbracciarla per ringraziarla per tutti i suoi meravigliosi articoli.

  2. angelo libranti

    I premi, in Italia come altrove, sono frutto di accordi e compromessi, quindi non valgono nulla.
    Quando sono finalizzati alla gloria di un’opera di fruizione pubblica si giustificano, perchè vendono un prodotto.
    Altro discorso il premio alla persona per il riconoscimento dell’opera svolta o per merito. Anche qui nella maggior parte dei casi, ci si accorda e ci si compromette, salvo che per pochi i quali devono, comunque, apparnetere all’entourage giusto.
    Sciascia divideva gli uomini in cinque categorie, meglio sarebbe dividerli in due, anzi tre: i titolati, i non titolati e quelli che, pur avendo titoli, non li ostentano e non lo fanno sapere al prossimo.
    Le ultime due categorie si fanno valere solo per il loro modo di comportarsi e rapportarsi con la società.

  3. Bruno Strukel

    Trieste
    Le invio i miei più sinceri complimenti per l’estrema chiarezza del Suo ultimo articolo e il Suo coraggio:
    Mi chiedo, forse ingenuamente, e spero che abbia un’adeguata protezione! Ci sono dei “politici” farabutti, cialtroni e incopetenti, che sono paradossalmente protetti dalle scorte a spese dello Stato e spesso accade che dei coraggiosi galantuomini non lo siano! Mi auguro che, quanto prima, tutti gli italiani onesti “aprano gli occhi” per consentire a questo “Paese” di risollevarsi da questa indegna e degradante situazione!
    A Lei, in particolare, auguro ogni bene e, per me risulta facile, continui a denunciare le nefandezze con la Sua “penna”!
    Bruno Strukel

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