Dopo Veltroni anche D’ Alema / VINCERE PERDENDO, DUE CAPI NEL PAESE DEI MAGGIORDOMI

In un Paese civile e maturo la caduta di un capo non provoca mai  sconquassi. E invece la caduta di D’Alema è la conseguenza di una rara ferocia: si ritira solo  se vincerà Bersani, resterà invece in gara se vincerà Renzi < e sarà battaglia>. E che battaglia, ha commentato Lilli Gruber. Non cade dunque senza far rumore, Massimo D’Alema,  si arrende alla rottamazione per rottamare il rottamatore: <Lo scranno lo mollo, per fare la mia battaglia politica. Mi mobilito>. E l’Italia, che è abituata ad ogni genere di rovine, dal 25 luglio alla fine della Dc, dalla tragedia craxiana al bunga bunga di Berlusconi, ieri sera gli ha visto dare l’addio ai monti come un inaspettato, struggente Renzo Tramaglino  e ha scoperto che è persino possibile accorarsi per il freddo D’ Alema, per i sui baffi di ferro, e simpatizzare con lui almeno nel giorno della sua caduta.

E cade dunque Bibò dopo che è caduto Bibì, cade Massimo dopo che è caduto Walter: <La decisione di Veltroni qualche problema me l’ha creato perchè è scattata subito la caccia all’uomo>. E poco importa se uno cade nel silenzio e l’altro nel fracasso, l’uno elegante e l’altro, da sempre  incattivito e sprezzante, finalmente attento e composto  perché <abbiamo caratteri diversi – ha detto D’Alema – ma l’amarezza è la stessa, l’amarezza per la violenza del nostro Paese, per questa stagione di inciviltà>. Protagonisti inseparabili sino all’ ultima striscia, quella d’ addio, cadono insieme Massimo e Walter,  i due gemelli Bibì e Bibò appunto, i due discoli giulivi usciti dalla matita dell’ americano Rudolph Dirks e resi famosi dal Corriere dei Piccoli (la prima volta apparvero nel 1912). Anche Bibì e Bibò <i due nostri malviventi /  di nascosto sempre intenti  / ad un loro tiro pazzo…>  si distinguevano tra loro soltanto per dettagli fisici, l’ altezza, i capelli e, potremmo aggiungere noi, i baffi e gli occhiali, particolari estetici, ondulazioni sulla superficie increspata della politica, l’ attempato adolescente che voleva fare l’ americano, per sempre grazioso e incerto, e il giovane nato vecchio con il terribile ghigno che solo ieri sera si è finalmente addolcito, kennedismo e togliattismo, l’ occhio freddo contro il sorriso caldo, la barca a vela contro il calcio, la fondazione politologica e la letteratura, e forse Bibì invidiava l’aria umana troppo umana di Bibò che ammirava invece  l’espressione impermeabile dell’altro. Una volta Veltroni mi disse: <Pensa se io mi facessi crescere  i baffi, e se Massimo se li tagliasse…>. Da sempre  l’uno è la verità dell’altro.  Può esistere Bibì senza Bibò , può esistere Bibò senza Bibì ?

Sono stati due capi nel Paese dei maggiordomi. E ieri sera nella luce gloriosa di un notte italiana in un raro momento di bellissima televisione-verità  D’Alema ha dimostrato che si può vincere perdendo. E lo ha fatto anche per lui , per Bibì che <tra Bersani e Renzi non ha voluto schierarsi e io lo rispetto, ma io sono fatto in un altro modo e non ci sto>.

D’Alema ha dunque preso su di sé tutta la storia del centrosinistra e ha preso su di sé pure Veltroni rivendicando i governi Prodi, l’entrata nell’euro,  le stagioni di Ciampi… sino al rigore di Monti che <abbiamo voluto noi>. Ma ha pure ammesso le divisioni, le risse, l’incapacità di restare unititi, insomma la sconfitta. Ed è riuscito, con l’ intensità dello sguardo a tratti addirittura commosso, a comunicare e… a trasmettere il dramma suo personale e quello del suo partito e della lunga storia dalla quale proviene .

Quale che sia l’esito della guerra che solo ieri sera è davvero cominciata nel Pd e nella sinistra italiana, è comunque finito lo ‘stile D’ Alema’,  lo stile della volpe e del lione, di tutte le bestie cioè del Machiavelli, della politica disseminata di trappole e popolata da lupi. Ed  è appunto uno stile che ha generato rancori invincibili.

D’Alema aveva detto a repubblica <non sono un cane morto>. Sapeva che  era la preda di <una caccia all’uomo>, appunto.  I vecchi gregari e i nuovi talenti del suo stesso partito, i suoi compagni, si stavano comportando con lui come con l’ albatros di Baudelaire. Quando volava alto gli si attaccavano con i propri sogni, e alle sue ali appendevano le loro ambizioni, la voglia di approdi favolosi. Ma ora che  stava sulla tolda della nave, l’ acchiappavano, gli spezzavano una gamba e si davano all’ esercizio del tormento: <Come e’ fiacco e sinistro e comico e brutto, lui poco fa cosi’ bello. Uno gli mette la pipa sotto il becco, un altro, zoppicando, mima lo storpio che volava>. Un capo  come D’Alema, un uomo nato per fare il segretario generale,  non poteva starci. Certamente gliele avrebbero fatte pagare tutte, gli avrebbero chiesto il conto anche delle colpe che non ha e dei debiti che non ha mai contratto. Perciò ha aperto un’astiosa, implacabile ma creativa  stagione di vera lotta politica, la sola che può portare tutta la sinistra e tutto il paese fuori dalla palude degli uomini che in eterno succedono a se stessi, la sola che può affossare una storia salvandola: <Grillo vede Renzi come un competitor, uno che vende la stessa merce. Io credo che il Pd debba vendere un’altra merce>.

E almeno questa volta i protagonisti non saranno i maggiordomi.  La divinità  infatti trascina con sé tutto il partito. Lo sconfitto D’Alema ha preso il ruolo romantico straordinario e inaspettato, inedito e inaudito dello Zarathustra di Gallipoli: ‘Io amo coloro che non sanno vivere se non tramontando’

3 thoughts on “Dopo Veltroni anche D’ Alema / VINCERE PERDENDO, DUE CAPI NEL PAESE DEI MAGGIORDOMI

  1. giuseppe

    mi aspettavo un articolo piu’ graffiante….mi e’ sembrato troppo tenero con chi dice di andarsene, pero’ se vince Renzi continuera’ a combattere’, mi chiedo forse lo fara’cadere come fece cadere il governo Prodi.

  2. Luigi Altea

    Walter Veltroni ha annunciato che non si ricandiderà, ma ha subito aggiunto che continuerà a fare politica.
    Veltroni non riesce proprio a fare una promessa senza accompagnarla da una minaccia.
    E questo…non mi sembra molto elegante.

  3. Gianni Lecca

    Premessa superiore: non sono e non sono mai stato comunista (il battesimo d’urna andò, in illo tempore, a Giovannino Malagodi, l’ “inglese” coi tic d’orecchio e nipotino di A. Smith, poi a l’edera repubblicana di U. La Malfa, e quindi, turandomi a lungo il naso, al biancofiore della balena bianca). Premessa inferiore: non sono PD, le miei simpatie di questo ventennio si sono limitate all’ulivo prodiano e solo perchè “il capo della coalizione avversa” un po’ ripugnava. Conclusione: posso spezzare una lancia per “baffino”? Il quale, a vederlo coinvolto fra i sacchi di questa raccolta differenziata (onorevoli di lungo corso), fa molta tenerezza. E un po’ sorridere, perché questa specie di progrom anagrafico, questo tentativo di purga all’insegna del giovanilismo, più che stilema di contenuto politico, sa tanto di buttade commerciale: il mio rottame per una macchina nuova, più bravo perchè più giovane. Ma anche ridere, perchè gli effetti collaterali sono visibili. Veltroni, sentendosi suocera ha già fatto le valigie. E un bel po’ di maggiorenti (è il caso di dirlo), guardandosi allo specchio e la gobba della lunga navigazione in transatlantico, è sulle spine, strepita, freme. Insomma, l’input minaccioso, non sembra vero, ha attecchito. Fuori i vecchi e largo ai giovani. E chi, per libero arbitrio, aveva deciso di appendere le scarpe al chiodo, ora passa per giubilato, per vittima del progrom. Anche “baffino”, ex leader maximo, ci sta cascando e non ci sta. Giustamente. Dice: sono i miei elettori di Gallipoli a decidere, non un pischello fiorentino. E promette futuri sfaceli. Sono, mio malgrado, un ammiratore Di D’alema. Credo che nel buio orizzonte politico sia uno dei pochi che faccia un po’ di luce. O almeno, che l’abbia fatta. Ricordo le sue “gesta” all’evento ombroso del principe di Arcore, anni 94-95. Non mi sembrava vero che un rampollo delle Frattocchie sfoderasse così bene armi istituzionali e costituzionali a difesa di una democrazia minacciata da conflitti di interesse e di decenza. E, a parte la gelidità con cui offre la mano (me ne capitò una volta l’esperienza), ero contento che Montanelli, vecchia volpe anticomunista, lo definisse “un diavolo”. Un diavolo rosso, e va bene, ma è quello che ci voleva contro “l’uomo nero” che si attorniava preventivamente di avvocati che non volevano prigionieri. No, D’Alema no. Non può essere liquidato da uno spot. Uno spot, fra l’altro, incautamente intempestivo. L’acqua politica, come una piscina, ha bisogno di ricambio. Certo. Ma come bandiera di “primarie”, farà anche presa, ma stona, sa di effimero, è una sommaria esclusione anagrafica, che ricorda il calcio: nazionale e under 21; o i 18 e i 35 anni dei concorsi pubblici, o i diritti pensionistici. E come spot planetario di un agone politico di parte, non si era mai registrato. Sarà certamente un ploff, un bumerang clamoroso. Il popolo degli ultracinquantenni, vista la parata e la sparata, si rivolterà contro. E noi poveri ultrasessantenni, dopo l’era mefitica del berlusconismo, ci aspettiamo un’eredità migliore.

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