ASSESSORE PISCIATURU
Per la politologia, per gli allievi di Max Weber l’assessore Domenico Zambetti è <la degenerazione del sistema>. Per i malacarne è <un pisciaturu>, un gabinetto. Il concetto è lo stesso, solo il linguaggio cambia, da un lato fior di parole e di dottrina e dall’altro il lessico gergale dei residui organici. Insomma i mafiosi delle ‘ndrine che disprezzano <’sti politici di merda> almeno in questo sembrano ‘normali’ italiani: <Piccoli e grandi, queste merde sono uno peggio dell’altro>. Come tanti di noi, anche loro non distinguono, accorciano, vanno veloci. Pure per i ‘ndranghetisti la sporcizia della foce è già sporcizia della sorgente, come per Grillo che parla in generale di <zombie>, come per Renzi che la fa spiccia e tratta tutti come <rottami>. Solo che i mafiosi sono più immediati e più primitivi e quanto più disprezzano tanto più apprezzano: <le corna sue> dicono mentre si fregano le mani. E poi: <Cirù, conta questi soldi>.
E si sentono sottopagati, Eugenio e Costantino, e quasi litigano. <Sono solo cinquanta euro a voto>, una miseria, ben sotto il prezzo di riferimento: <Al Sud sono almeno 80 euro a voto>. Il valore-voto nel Meridione è il Gold Standard dell’economia politica mafiosa. E però a Reggio Calabria, che è la Wall Street della ‘ndrangheta, la mafia non trova più appalti, è costretta a speculare sui pidocchi, il Ponte non si farà, il Consiglio comunale è stato sciolto, rimangono le tombe, i funerali e i Bronzi di Riace; l’edilizia pubblica è ridotta a qualche scavo e a un po’ d’asfalto. Qui invece c’è l’Expo e <le imprese ce le abbiamo, le cooperative ci sono> e insomma <dato che vogliamo pure del lavoro bastano 50 euro a voto e stop>. Poi Costantino si spiega ancora meglio con quella testa dura e avida di Eugenio: <Un acconto prima e la rimanenza te la danno dopo. Funziona così. Eh>.
Più verbali leggiamo e più si capisce che non sono loro i marziani. Infatti scopriamo che il vero mostro non è il corruttore calabrese ma il corrotto milanese che <si è cagato addosso, si è cagato completo>. Il linguaggio impastato di fango e di minacce diventa così il linguaggio inedito della soddisfazione disgustata, e cresce il senso di superiorità compiaciuta sino al trionfalismo sfrontato: <Si è messo a piangere davanti a me e a zio Pino, eh!, come piangeva>. Le lacrime della vittima sono sempre medaglie per i bulli; sono la prova che, comunque, ne valeva la pena.
C’è un momento nel film il Padrino, che è la Bibbia dei malacarne, in cui il cantante scoppia in lacrime perché la fidanzata lo tratta male. Ebbene, don Vito Corleone lo prende a schiaffi: <Cianci, a fimminedda cianci, piange, la femminella piange>. Le lacrime infatti sono virili solo nei funerali e sempre senza singhiozzi, in silenzio. E invece in questi verbali c’è il politico che singhiozza davanti a due mafiosi. Neppure Mario Puzo se l’era immaginato.
Davvero, dal bacio di Andreotti al pianto di Zambetti è cambiato tutto. I politici non sono più ‘i pezzi da novanta’, non fanno più parte del mondo parallelo, ma sono direttamente impiegati della mafia: <Ce l’abbiamo in pugno>, <gli facciamo un culo cosi>, <lo facciamo cagare sotto>, < <l’abbiamo fotografato con Pino giusto per avere una prova…, ma per ora non gli diciamo niente> perché non c’è bisogno. E difatti, esecutore e zimbello, Zambetti promette appalti per l’Expo e intanto sistema la figlia e l’amante del boss Costantino, ottiene la proroga al contratto di parrucchiera di sua sorella … Ma nessuno lo ringrazia mai. Anzi, i malavitosi se la spassano a maltrattarlo e a mettergli paura: <Con quel diabete stia attento al … mangiare>. Lo spaventano, gli dicono che lo faranno <saltare in aria>. Pino D’Agostino che è in Calabria annunzia divertito: <Salgo io e ci parlo, che così ci capiamo>. E ridono di lui : <oh Zambettino Zambettino>.
E non sono più i vermi che infradiciano la politica, ma è la politica fradicia che produce i vermi: <Altrimenti chi lo eleggeva ? Nel mio piccolo io sinceramente li meritavo centomila euro, nel mio piccolo nel Magentino gli ho fatto dare 700/800 voti.> Una volta le anime che ogni temutissimo mafioso controllava erano artigiani e commercianti, tutto il presepe dell’ordine sociale che pagava pizzo e pegno. Ora il mafioso porta voti, ha ‘sposato’ la democrazia, è pastore di un gregge che fa aritmetica elettorale ed è ammirato e invidiato come una volta i soprastanti che mettevano tutti in riga con il coltello e la lupara: < I voti a Milano li ha fatti prendere Ambrogio (Crespi). Quello sì è un bandito! L’altra sera mi ha chiamato ed era con Vallanzasca> che qui diventa la star, il testimonial di un nuovo ceto politico consacrato alla delinquenza: <Mi ha detto, vieni che vi faccio salutare Vallanzasca>. E sono nuove specializzazioni del professionismo della politica che avrebbero ubriacato Max Weber, mentre l’assessore, il politico classico, perde pure l’identità e non ha nemmeno la dignità del picciotto, ma è solo e sempre <a disposizione>.
E difatti <senza di noi, sai chi lo eleggeva!>. Perciò l’eletto offre e promette i lavori da appaltare alle ‘ndrine che più hanno schifo di lui e più lo ricattano, e più lo ricattano e più lo disprezzano, felici di trattare con una materia infima , come i monatti che facevano affari con gli appestati, come gli spacciatori con i drogati: <Non ha parlato male: ‘voi me lo segnalate e io cerco di farvelo fare’. Ce l’ha garantito che ci dà lavoro in questi cinque anni>. E gli mandano pizzini che sono promemoria intimidatori , veri e propri contratti di servitù ma compiaciuti e scanzonati: <Gli abbiamo mandato un lettera, Cirù, una cronistoria di come sono andate le cose, di come erano i patti>. E’ la solita lingua della violenza ma divertita, una grammatica di morte ma allegra: <Una lettera talmente scritta bene, cirù, cioè si vede che c’era gente laureata nel gruppo>. E dunque altro che colletti bianchi! I professori sono arrivati anche nella malavita e a Milano il pizzino è diventato florilegio di tocco e toga. Ma ogni tanto, per non perdere le buone abitudini, tornano ad accarezzare l’idea di farlo saltare in aria: <Eh, Zambettino Zambettino>
Eppure la storia ci racconta che ‘il ministro della malavita’ (1910) Giovanni Giolitti comunicava ad occhiate con gli emissari della camorra che restavano, <timorosi e rispettosi>, dall’altro lato della strada. E il politico del Padrino dice a Tom Hagen, il figlio adottivo di don Vito Corleone: <Non ho paura di voi che avete i capelli unti di olio d’oliva>. Invece qui <se l’è fatta sotto completo>. Forse perché questi mafiosi sfogano sui politici gli stessi umori dell’antipolitica dilagante. Ogni volta che ne fanno tremare uno, che lo fanno piangere, ogni volta che lo costringono a farsela addosso usano parole e stilemi che drammaticamente somigliano a quelli degli indignados italiani: <Il potere lo hanno loro, i politici e la legge. Però ogni tanto una soddisfazione ce la prendiamo. Solo così possiamo prendercela qualche soddisfazione>. Ed è un punto di vista che purtroppo ci segna. Perché non riesce a farci più pensare all’istituzione umiliata questo assessore che sta sotto il codice onorevole dei mafiosi, è nella scala zoologica l’ultimo animale dello ‘zoòn politikòn’. Il fatto nuovo e inaudito è che la malavita più odiosa e spietata è riuscita a privarci della compassione che sempre abbiamo avuto per le sue vittime. Non suscita infatti pietà, nessuna specie di pietà, la vittima che ha disgustato anche la mafia.
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