CHIUDE IL COVO DELLA PACCHIANERIA ITALIANA

E’ un altro segnale, insieme al naufragio familistico-criminale della Lega,  al ripristino della fermata dell’autobus davanti a Palazzo Grazioli,  alle derive personali e professionali  di maschere come Emilio Fede , Lele Mora, Fabrizio Corona e Marcello Dell’Utri che non c’è più spazio per i falsi  capitani d’industria e i falsi playboy, i falsi capi di Stato, le soubrette ministre,  i falsi  giornalisti, le patacche storiografiche dei falsi intellettuali.  Flavio Briatore  chiude,  da falso gran signore, il suo Billionaire, con la pagliacciata del deluso dall’Italia, la sceneggiata della patria ingrata che non lo capisce e dà del ladro ai ‘poveri’ ricchi come lui. Ma la verità è che il Billionaire non aveva più clienti, e dunque chiude per fallimento il covo della pacchianeria italiana.

Ce ne ricorderemo di quest’antropologia che ha dominato il Paese negli ultimi venti anni e che esce di scena insieme all’idea che il farabutto è una risorsa. E speriamo che anche i nostri colleghi cortigiani, quelli che fecero un genere dell’elogio del mascalzone furbo, capiscano  quanto  era povera e servile quella loro tesi compiaciuta  sulla magnifica stoffa del figlio di puttana. Per anni ci è parsa ributtante l’idea che Briatore fosse la versione italiana del maudit, della  simpatica canaglia alla Belmondo e che ci fosse il genius loci di un ‘Italia vincente e spiritosa  nell’esibizione delle panze da abbuffata , nel brum brum sulla Porsche,  nelle donne rifatte, nel turpiloquio da caserma ma anche nelle truffe finanziarie del falso capitalismo:capitali immaginari e crediti millantati.  Questa robaccia che si impose con  spavalderia non è stata mai anticonformismo ma sempre e solo patacca conformista.

Nacquero, quelli del Billionaire, come riproposta farsesca delle atmosfere della Dolce vita e del Sorpasso, ma senza la dimensione romantica dell’Italia del boom né tanto meno l’ironia  intelligente di Fellini e  Dino Risi. E si capì che il loro destino era segnato già nella parodia di Panariello: tutti vedevamo che, come nel caso di Cetto Laqualunque,  era al di sotto della realtà.   Pensate:Briatore, nonostante il fallimento, sogna ancora di potersi imporre come modello. Leggo che prepara il suo debutto in un reality nel quale insegnerà a tanti poveri aspiranti Briatore come diventare capitalisti e squali, come  farsi ricchi e fregare il prossimo. Nonostante il botto finale ,Briatore dunque vuole una cattedra di pescecane. Visto come gli è andata, è come se Schettino si mettesse a insegnare l’arte del comando.

Ovviamente lo so che la volgarità non si esaurisce con Briatore, che le sue vie sono infinite. E però…: Briatore e le sue macchine, Briatore e i suoi trucchi esibiti, Briatore e la sua socia Santanché, Briatore e  il rollio dello yacht che addormenta il bambino, Briatore e i buffi spocchiosi riccastri di Porto Cervo, Briatore e l’Italia sardoestiva alle ostriche, allo champagne e 43 metri di barca… Oggi intanto finisce Briatore.  E  speriamo che da domani, a valanga,  scoppieranno tutte le  altre rane che volevano fare i buoi.

9 thoughts on “CHIUDE IL COVO DELLA PACCHIANERIA ITALIANA

  1. Roberto Pandolfi

    Caro Merlo, è il segno dei tempi. La fine a pioggia, grazie alla vita stessa, dello “stile” puzzante di Casa Truffa Putreffatta, che non è proprio un vizio soltanto italiano, ma universale; non è che quello che dico ne sia una giustificazione, invece una verificazione a piede d’opera, appunto. Non si potrebbe andare avanti portanti addosso un tale overbooking di svergogna e di rogna sociopatica, né essere a lungo vicini a quel cancro nutrito dalle vite filo delinquenti, sempre sull’orlo della pattumiera nazionale anzi globale. Immensa come un’oceano di rifiuti senza fine. Piu’ d’indignazione queste notizie dovrebbero provocare in noi il sollievo, il respiro un po’ liberato ed un po’ meno odorante e “profumato”.
    Per quanto riguarda il Briatore, mi viene in mente quella “virtú” sciaciana della quaquaraqualità. Ci sono gli uomini -e le donne- e ci sono i quaquaraquà, al maschile ed al femminile, ovviamente gli si puo’ distinguere benissimo, ce ne sono tanti…variati, diversi, in tutte le classi sociali, culture, geografie, mestieri e condizioni. Arrabbiati o indifferenti, affannati o fannullonni. Como degli stupidi, sono spartiti sulle mappe antropometriche della nostra civiltà. Anche noi stessi, che sicuramente ci pensiamo “normali” sicuramente portiamo dentro una seme piu’ o meno sviluppata di quella vile inclinazione . E forse per quello ci procurano quel senso di disprezzo e paura per la possibilità incosciente di averne qualcosa in comune
    Non sarebbe mica male guardare lo specchio di quella roba da uno sguardo piu’ freddo, scientifico e sereno, come si guardano in laboratorio i virus e batterie dei vaccini. Per prevenire il proprio contagio soprattutto. La carne è debole, la mente illusa, i trauma nascosti, i vizi piu’ vivi e condivisi di quello che ci si pensi. A volte senza accorgercene tutti noi abbiamo un covo da chiudere, in cui nascondiamo i mostri che non vogliamo né riusciamo a mostrare agli altri.
    Dopo leggerLa, signor Merlo, mi metto presto all’autoesplorazione; se per scoprire le malattie fisiche ci conviene farlo, per scoprire quelle dei comportamenti, dovremmo farlo con la stessa attenzione. O forse di piu’, dato che i sintomi sono meno alarmanti e quando scoppiano non hanno rimedio né cura possiblie. La nostra superbia ed il nostro ego crescono in parallello a quelle anomalie non ci permmette di distinguerle dalla nostra propria idiosincrasia. E quindi si puo’ finire come un topo in una trappola senza uscita, cioè imprigionati ed impasicciati dal fromaggio avvelenato dalle proprie mezonge. Un disastro.

  2. Marco Sostegni

    Caro Merlo,
    vedrà che col tempo un nuovo Briatore nascerà e c’è un’Italia che apprezza certe esposizioni mediatiche. Mi dispiace per tutti i baristi donne delle pulizie ecc ecc che con la chiusura del Billionaire (o come si scrive) hanno perso il lavoro. E anche dei tour turistici che “facevano vedere da lontano” il Billionaire. Anche questo era letteratura. Ed è letteratura.

    1. Giovanni Borghi

      No signori, questa non è letteratura ma è lavoro, centinaia di posti di lavoro. Non riesco a comprendere come si possa giubilare la chiusura di un polo turistico – perché tale è questo locale – senza prendere minimamente in considerazione le centinaia di persone che grazie all’applicazione di questo lusso nella vita quotidiana portavano a casa uno stipendio per mandare avanti la loro famiglia.
      Ora i risultati saranno due: il cattivo gusto non sarà più di casa in questa parte della Sardegna (ma che significa poi cattivo gusto?) e centinaia di famiglie avranno problemi lavorativi ed economici. Scusatemi ma qualcuno mi può spiegare di cosa bisogna essere contenti? Forse mi sono perso qualcosa ma non bisogna difenderli i posti di lavoro? O la difesa ad oltranza vale soltanto per alcuni e non per altri? Buona giornata!

  3. Giuseppe Chiodi

    Dài Merlo, attacchi duro il Briatore degli altri chiudendo tutti gli occhi a disposizione sui Briatore che la circondano, probabilmente hanno fatto più danni di Flavio, ma che importa se servono a reggerle il gioco…
    Agli arroganti e superficiali, che il suono del proverbiale pernacchione di Eduardo sia la colonna sonora della vostra vita….

  4. rosario spinello

    come sempre, un grande….sintetizza in poche righe vent’anni di glamour alla ficupala, per gli italiani fico d’india….grazie…signor Francesco, grato per i suoi articoli…

  5. Filippo Cerini

    Bisognerebbe di tanto in tanto fare anche altri calcoli, sommando, ad esempio, le tasse che il suo editore paga in Svizzera, dov’è residente, e i contributi pubblici che prende il suo giornale per poter quotidianamente sparare sentenze e conferire o revocare patenti di bellezza, democraticità, moralità, ecc. Mi auguro che se lei si presenterà in Sardegna quest’estate venga accolto da pietre scagliate dai disoccupati e dalle loro famiglie.

  6. Angelo Libranti

    Dubito che vada in Sardegna, probabile Capalbio anche se un pò decaduta.
    Dai tempi de “la dolce vita” ricordo la trasversalità della pacchianeria, che non ha patria, come Dagospia insegna.
    In quanto a falsi capitani d’industria ne ha uno vicinissimo, ladro e farabutto, che è riuscito a fregare anche i miei risparmi, nel 1985.
    Resta di evidente attualità la favola della trave e del fuscello.

  7. Steph

    …tranquillo caro Merlo (e coloro che hanno commentato questo articolo), tanto ci sarà sempre qualche soggetto che commenterà: tutta invidia!

    P.S. Ma invidia de che?!

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