Tivoli-spazzatura / TRA LE ROVINE DI ADRIANO, ASSEDIATE DALLA DISCARICA

Trovo più facilmente la discarica di Corcolle che Villa Adriana. I pochi segnali stradali  mi mandano sia a destra sia a sinistra ma finisco davanti a un muro cieco, dietro il quale non c’è ovviamente Villa Adriana ma ancora e sempre spazzatura. <Non vogliamo i rifiuti di Roma> annunzia il primo cartello  veramente chiaro in questa giungla stradale che è fatta per  perdersi, per non arrivare mai.  Anche i presìdi di rivolta dei tivolesi non sembrano accampamenti ordinati a difesa delle vestigia dell’imperatore, ma una rimessa di rancori contro la metropoli che prima li ha espulsi e poi li ha chiamati burini: <Roma Zozzona, Tivoli non perdona>.   Di sicuro, adesso che è stata decisa, quasi tutti scaricano la discarica: il sindaco, la Regione… e anche  il ministro Ornaghi che non si riconosce nella figura di Ponzio Pilato ma, proprio come il procuratore della Giudea, minaccia le dimissioni invece di darle. L’Italia, come si sa, è  una discarica di dimissioni minacciate e mercoledì scorso Ornaghi,  invece di  visitare con Monti e con la Cancellieri le macerie della Torre dei Modenesi e quel che resta del Castello di San Felice sul Panaro  e di decine di chiese, chiostri e conventi  dell ‘Emilia Orientale terremotata, è andato a minacciare le dimissioni nel posto più spettacolare d’Europa: la Croisette di Cannes.

Per la verità già lungo la Tiburtina capisco che prima di difendere Villa Adriana dalla futura discarica che la minaccia,  bisognerebbe, come in  un sogno, sottrarre l’ Animula vagula blandula dalla presente discarica che la soffoca e la nasconde, che l’ammorba. La Tiburtina è un serpente di spazio-spazzatura (junkspace) a una sola corsia,  una zona suburbana di umanità confinata. Come unghiate sulla terra mi passano davanti le cave di quel travertino che abbellisce il ‘Getty Center’ di Santa Monica ma qui abbrutisce  il paesaggio già mangiato da case senza disegno, recinti di venditori/compratori di rottami di ferro, casermoni informi che  sporcano anche la dolce linea dei colli. Qui c’è anche la discarica del sogno di sviluppo dell’informatica all’amatriciana che  i romani chiamarono ‘Tiburtina Valley’ e adesso è solo un altro fallimento industriale, un mondo dismesso ma attraversato da quell’Aniene che verso Roma diventa il feudo abusivo di Anemone e della cricca, le piscine-fantasma dei mondiali di nuoto del 2009.

Sono luoghi pasoliniani ma senza la poesia di Ostia o di Mamma Roma. E va bene che siamo abituati a vedere le vestigia in mezzo al degrado, rovina delle rovine, ma almeno a Pompei ci sono i turisti mentre qui i pochissimi visitatori, se  non si perdono per strada, sono come i pellegrini provati dagli enigmi, fermati dalle sfingi, deviati da una toponomastica arrangiata e bizzarra. Sembrano i giocatori di una caccia al tesoro.

Poi, quando finalmente arrivo  su ‘Piazzale Yourcenar’  e trovo l’ingresso, quasi mi dispiace di non essere  accolto dalla solita folla di questuanti, guide autorizzate e guide improvvisate, truffatori, scippatori, carrettini di panini immangiabili, venditori di souvenir e di paccottiglia d’ogni genere che in fondo rimandano all’archeologia del vivere. Quegli orribili mostraciattoli parassiti del sottosviluppo crescono insieme alla ricchezza, sono microorganismi e fermenti  di una decomposizione sociale che è pur sempre vita, anche se andata male.

Invece oggi giovedì, ore 13, su questo piazzale non c’è nessuno. Solo una signora inglese, eroina dell’ archeologia, che inutilmente boccheggia in cerca di un bar. Fa molto caldo ma non ci sono luoghi di ristoro, solo una fontanella. Mi sembra di essere a Morgantina dove la povera Venere patisce la solitudine della periferia dopo la folla eccessiva di Los Angeles. E con dolore rimpiango i centurioni con la scopa in testa: qui non vengono perché non c’è danaro da lucrare, non ci sono i turisti da spennare. Persino  la grande promozione ‘Villa Adriana ad un euro’  nel ponte del primo maggio  è stata un triste fallimento.

Pago il biglietto anche se i tornelli d’ingresso non funzionano e dunque si può entrare gratis perché non c’è controllo. L’erba comincia a seccare  e a diventare gialla. Gli ulivi sono bellissimi. Per terra ci sono, altro prologo di discarica o forse epilogo, sacchetti vuoti, bottiglie di plastica, cartacce.  Sono rarissimi i cestini  dei rifiuti. Sotto una quercia c’è posteggiata una Opel Astra, ma non è un’opera d’arte, non sono i baffi alla Gioconda, è proprio sciatteria ma, tanto, non la vede nessuno.

A Villa Adriana  si sparpagliano solo le scolaresche ‘deportate’ che sono quanto di più ostile  all’idea del bello da godere: Villa Adriana per loro è come il Manzoni per  i ginnasiali, un dovere persino noioso. Alle 14, 30 i bambini di una scuola elementare fanno  picnic sotto gli ulivi. <Vuole favorire?> mi chiede la maestra. Sono allievi della Granturco di Roma, via della Palombella, a due passi da quel Pantheon che fu  costruito proprio da Adriano ed è l’unico edificio della Roma antica ancora in piedi dalle fondamenta al tetto.  E a proposito  di vanità sulla Croisette   non fa male ricordare al ministro che Adriano non firmò il suo capolavoro ma vi lasciò per sempre il nome di chi lo aveva iniziato: <Agrippa fecit>. La Yourcenar gli  fa dire: <Ben pochi realizzano se stessi prima di morire: e ho giudicato con maggior pietà le loro opere interrotte>. All’ombra della quercia  c’è sempre l’Astra. E’ abbandonata? E’  targata CL558XM.

Avanza un signora con un cane. E vengo a sapere che gli animali sono ammessi anche se disturbano  ed eccitano i randagi che qui vengono allevati e nutriti dai custodi. Al più  grosso dei randagi hanno dato il nome Jack e la custode della mostra sull’amore di Adriano per  Antinoo mi rassicura: <Er segreto è picchialli colle mani, mai col bastone>.

Villa Adriana, si sa, è un posto dell’anima, il trionfo della voluttà architettonica, un florilegio dei capricci edilizi di un grande imperatore: la sala  del banchetto, la piscina,  il teatro marittimo, la piazza d’oro, il pecile, il canopo, le terme, la biblioteca…. E mi viene il pensiero semiserio che  tra altri duemila anni anche la villa di Berlusconi in Sardegna sarà visitata da una signora dell’Oregon con la tuta a fiori alla ricerca della sala del bunga bunga o delle cucine ipogee del cuoco Michele, o ancora dell’approdo sotterraneo, un mondo di voluttà più per  Trimalcione che per Adriano, più il Satyricon di Petronio che il romanzo della Yourcenar.

Villa Adriana non è una città in forma di palazzo e non è nemmeno un palazzo, forse è un edificio destrutturato, tante stanze slegate tra di loro che Adriano teneva in piedi per la memoria: appunto le stanze delle memorie di Adriano. Da solo il muro, con i suoi mattoni a rombi, varrebbe la visita purché qualcun spiegasse che era la misura della passeggiata. Per Adriano quei duecento metri  erano lo spazio e il tempo  giusti  della filosofia peripatetica, dialoghi in cammino,  il pensiero occidentale in cinque minuti. Le Corbusier ne fece uno schizzo magnifico: lo considerava il prototipo di tutti i muri.

Ebbene, il visitatore non capisce nulla di tutto questo. Le acque della piscina sono sporche e limacciose e non fanno certo pensare al rifornimento di pesce durante i banchetti. Brutte grate d’alluminio circondano il lago dove si organizzavano giochi di guerra navali. I pochi cartelli parlano di geometrie e non accendono mai la fantasia. Non c’è niente che indichi che da lì passavano le carrozze e si fermavano ai piedi di quelle scale. Nessuno può accorgersi che ci sono affreschi ancora stuccati, le grottesche che nel Colosseo e nella villa di Nerone  sparirono alla fine del cinquecento.

Tornando a casa il visitatore si sente sperduto e anche io mi sento perduto. Mi sembra di aver fatto una passeggiata in campagna. E’ stato come visitare un bosco. L’architettura non parla, viene riassorbita dalla natura e diventa una massa informe come la Tiburtina, come i paesi e i quartieri che percorro all’incontrario e finalmente capisco  che cosa mi ricordano: le strade di Favara e di Corleone. Si accendono le luci della sera e la Tiburtina si popola di prostitute e travestiti. L’Adriano della Yourcenar diceva : <Io sono il custode  della bellezza del mondo>. Ci facciano o no la discarica, chiunque abbia visitato Villa Adriana, quando va via si sente discaricato.

14 thoughts on “Tivoli-spazzatura / TRA LE ROVINE DI ADRIANO, ASSEDIATE DALLA DISCARICA

  1. Marilena

    Bello il tuo articolo, tanto quanto e’ triste il contenuto. Ma sono felice che villa adriana sia nostra e che la venere sia a casa.arrivera’ una generazione di gente capace.

  2. Violetta

    Caro Merlo, quello che Lei descrive qui non è un’ altro che una metafora perfetta del nostro mondo. Spazzatura. Rifiuti. Sporcizie a dirotto. Fango secco e macerie. L’impero della pazzia finisce così, succhiato dalla sua avidità egocentrica, ceca, dalla superbia miserabile. La storia è il testimone notarile del disastro apparente; ma è anche contemporaneamente la cronaca della rinascita. Mentre l’immondizia si sbriciola, la vita si rinforza e rinasce. Senza dubbio. Solo ci manca imparare ad essere vivi e sereni nel presente vero, non galleggianti in quello delle fantasie irreali. Guardare negli occhi e le necessità delle persone che ci sono al nostro fianco, guardare il mondo dallo sguardo trasparente del vero amore, non del gioco immaturo, per capire il significato vero di quello che si nasconde dietro l’apparente.
    Nel caos bisogna di no fare piu’ mutamenti spettacolari invece guardare il filo della quotidianità semplice, dell’ordine giornaliero, creare soluzioni concrete e non disperderci elucubranti in quello che sempre resta lontano ed impossibile da raggiungere.
    Il lato pericoloso della globalità è la perdita della visione dell’immediato. Non possiamo mai sistemare il mondo né migliorare nulla, né impedire la rovina se prima non siamo stati cambiati da noi stessi nella quotidianità anonima, sconosciuta per gli altri. Cioè dal silenzio aperto all’infinito, dalla sincerità purissima dell’essere che si rifletta sul giorno per giorno, al di là della visione piu’ spaventosa e depressiva, cui solo è un miraggio che fugge presto come il tempo. Quello che resta sempre è la spinta ed il miracolo della vita ed il suo senso così profondo e bello come il mistero di vivere.
    Forse in quel futuro su cui Lei scrive, tutte le rovine storiche saranno diventate spighe cupe, pane per nutrire, fiori per imbellire, vigneti per produrre il vino piu’ dolce, polvere di stelle e saggezza. La fermentazione della bruttezza puo’ pure diventare bellezza, se noi umani, impariamo a cambiare vita ed altitudine.

  3. annarita

    Lei si conferma l’ignorante che pensavo fosse: gli abitanti di Tivoli- Villa Adriana si chiamano TIBURTINI e non tivolesi poichè il termine deriva da TIBUR.
    Comunque è meglio avere una scopa in testa che la coppola e una lupara in mano.

    1. Stefano

      Mi pare una descrizione poco generosa sia della Villa che di quello che c’è intorno. Tutte queste prostitute e travestiti, ad esempio, li ha visti solo lei vicino Villa Adriana. Descrivere Tivoli come un “luogo pasoliniano” sinceramente mi sembra veramente eccessivo. Se la Villa, poi, fosse tenuta così male come potrebbe essere patrimonio dell’Unesco? E, per ultimo, confermo che gli abitanti di Tivoli si chiamano Tiburtini.
      Un cordiale saluto

      1. Bruno Venturi

        Io, invece trovo tragicamente vero ciò che ha scritto Merlo. La Villa in sé, poco tempo fa, mi diede anche qualche emozione; ma quante discariche ho dovuto attraversare ‘in contromano’ -cioè controvoglia, controcoscienza- per arrivarci. Siamo contenti che ora la discarica -quella vera, netta, utile o inutile- non la si faccia più: un po’ di dignità -almeno quella d’ufficio. Ma attorno a Villa Adriana l’irrimediabile è già accaduto, è già avvenuto. E mentre una discarica un giorno la puoi chiudere, e può essere inglobata, per dire, a ridosso del cimitero degli inglesi, a Testaccio, là, a Tivoli, sulla Tiburtina, non potrà mai più migliorare nulla: una SPA in più, quattro o cinque resort…villette condominiali di pessimo gusto. In effetti non v’è più nulla di quell’ultima poesia pasoliniana, colta tra antiche rovine e stracci.
        Ancora una volta grazie, Merlo

    2. Luigi Altea

      I miei amici di Tivoli, e non sono pochi, preferiscono chiamarsi e farsi chiamare “tivolesi”, sia perché il termine è correttissimo e sia perché la derivazione da Tibur sarebbe, più propriamente, ti-burini.

    3. Luigi Altea

      I miei amici di Tivoli, e non sono pochi, preferiscono chiamarsi e farsi chiamare “tivolesi”, sia perché il termine è correttissimo e sia perché la derivazione da Tibur sarebbe, più propriamente, ti-burini.

  4. Paola

    Sono un’insegnante. Leggevo i suoi articoli negli anni dell’università, sul “Corriere”. Grazie a questo blog ho ritrovato lei e il piacere di sostare in una prosa che informa, ma è anche letteratura. Questo pezzo su Tivoli mi ha coinvolta da vari punti di vista. Negli anni Novanta, se non ricordo male, parlando delle nostre ferrovie, lei scriveva dell’Italia come del Paese dell'”alta velocità ridotta”: da allora non sembra essere cambiato molto e le contraddizioni e gli ossimori perdurano, come (anche) il caso di Villa Adriana dimostra.
    Paola Palanca

  5. Roberto Rizzardi

    Un articolo dolente e molto evocativo della colpevole incuria con la quale si insozza e si dilapida il nostro più che unico patrimonio artistico. Caro Merlo, mi piacerebbe poterle dire che si sta sbagliando, che la situazione descritta non corrisponde alla realtà, che la fattispecie di Villa Adriana non è paradigmatica dello scialo che degrada tutte le manifestazioni del nostro vivere. Vorrei poterle opporre qualche considerazione di campanile, o rimproverarle qualche inesattezza nella definizione dell’abitante di un determinato luogo e, con questo, pretendere di invalidare integralmente la sua testimonianza, ma non posso farlo. Ho occhi per vedere e memoria per ricordare. Se ricorressi a certi mezzucci, sarei come il povero di spirito dell’antico detto che, al posto della luna , si ostina ad osservare il suo dito che la indica.

  6. Carlo

    Sottile pezzo anticulturale. La villa è già discarica, a quanto pare, inutile tentare di salvarla. Le prostitute e i travestiti vicino Villa Adriana ancora non ci sono, ma Merlo ce li vede già.

  7. Patrizia Fabrizio

    Sono appena tornata da un viaggio a Roma e ho voluto mostrare Villa Adriana a mio marito che é Tedesco. Ora vivo in Germania ma vado spesso a Roma.
    Ho trovato Tivoli in un degrado spaventoso, sporcizia ovunque e mi sembrava di essere arrivata in Messico, per cui concordo con lei pienamente.
    Il viaggio per arrivare a Tivoli con la Metro e poi con l’autobus ci ha distrutti. L’autobus era stracolmo e l’aria irrespirabile, faceva un caldo terribile, sembrava un carro bestiame. L’autista non ha segnalato la fermata per Villa Adriana, per cui noi ed altri turisti siamo dovuti scendere e tornare indietro per prendere un altro autobus che non arrivava mai. Finalmente quando é arrivato e siamo entrati, siamo stati spronati a scendere perché il nostro biglietto non andava bene! Abbiamo dovuto trovare una tabaccheria, comprare il biglietto giusto, aspettare un tempo indefinito sotto il sole cocente con altri turisti che si lamentavano per la scarsissima organizzazione del nostro Paese.
    Quando siamo arrivati, finalmente, abbiamo potuto visitare la Villa e siamo rimasti scioccati dall’abbandono e l’incuria. Rovine a pezzi, quasi sbriciolate e polverose, talvolta coperte da tettoie di plastica fatiscente che ne aumentano il degrado. Erbacce secche ovunque e perfino un topo morto. Non mi dilungo, perché quello che lei ha scritto riflette perfettamente il pensiero mio, di mio marito e di altri turisti che si lamentavano in tutte le lingue.
    Volevo denunciare questo fatto per cui ho fatto una ricerca su internet e ho trovato il suo articolo del 25 Maggio 2012. Adesso é il settembre 2013 e posso testimoniare che NULLA é cambiato. Perché un tesoro cosí bello é stato completamente abbandonato? Perché nessuno se ne occupa?
    Comunque, complimenti Signor Francesco Merlo, lei ha saputo descrivere molto bene i fatti come sono. Anche noi tornando a casa ci siamo sentiti “sperduti” anzi, molto di piú, ci siamo sentiti disgustati e depressi.

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