Quei resti per terra, il paesaggio e i fischi / IL MEDIORIENTE CHE CI ARRIVA IN CASA

L’unica cosa viva è la ragazza morta in questo Medioriente che ci arriva in casa.  Anche le bombole di gas sono l’esplosivo del disperato, l’estetica dei palazzi è da geometra, il paesaggio è la periferia di un Meridione remoto, <il sud del sud dei santi> lo chiamava Carmelo Bene che vi era nato e cresciuto. E nella folla c’è una telegenica, crudele familiarità col dolore, la collera scontata nel canovaccio dei cori dell’Italia meridionale: < E adesso ammazzateci tutti>.

Solo i resti per terra sono una semina della modernità:  lo zainetto, il quaderno e la scarpa da tennis diventano didascalia e album, dettagli che raccontano e documentano l’eguaglianza dei diversi. Tutte le ragazze del mondo infatti, in Inghilterra come in Pakistan,  a Milano come a Brindisi  indossano gli stessi abiti, annotano gli stessi diari, fanno della fantasia e della creatività una stessa divisa, anche se gli orizzonti e il destino raramente si somigliano. Li avessimo visti sparpagliati per terra senza sapere nulla della bomba, questi frammenti di scuola e questi brandelli di eleganze ci avrebbero comunque procurato un po’ dell’angoscia e della rabbia che proviamo adesso.

La scarpa da tennis numero 36, per esempio, che è il simbolo internazionale della gioventù, della disinvoltura e dell’andare per strada senza fermarsi mai, ora nello spazio che sta davanti alla scuola è un relitto, è il naufragio della vita, è la fine dell’innocenza. E al primo sguardo fanno tenerezza il quaderno bruciacchiato e il diario squadernato, ma poi ti monta dentro un bisogno di giustizia o meglio ancora di spietata vendetta per quei capelli,  per l’ anello, per la borsa di plastica e per quel foglio d’agenda che vola via. E anche noi come Borges <vediamo gli odori>, gli odori di carne bruciata: li <vediamo> perché come lui siamo diventati ciechi e nessuno capisce nulla. Tutte le congetture franano: la mafia, il terrorismo , gli albanesi, i greci, la follia, la passione e c’è ovviamente la retorica che si affaccia qua e là, ma anche quella è un rifugio di vita.

E in quei pezzi di plastica esplosa, in quella giacchetta stropicciata, annerita e bucata c’è la paura che possa accadere ancora, in qualsiasi altro angolo d’Italia: la morte come contagio. Ed è inutile cercare una trama, un tracciato da percorrere con la matita, dagli astucci ai cerchietti per i capelli, dalle cinture alle scatolette piene di rossetti e forbicine. C’è persino una pomata antiacne, e poi forcine, fazzoletti di carta, panini imbottiti, caramelle e, nel mezzo, la silhouette con quel bianco definitivo che la polizia usa per disegnare i confini dell’assenza. Per terra non c’è la geografia di una fatalità ma di un crimine, c’è l’incubo degli anni di piombo, quelli degli agguati e delle bombe.

E anche i fischi  ai politici e al vescovo per una volta sono fuori luogo. Tutto il rituale funebre e la messa in scena collettiva  diventano ostacolo alla ragione e intralcio autoassolutorio dinanzi  alla morte di  una sedicenne. Al posto dei lumini e dei fiori qui ci vuole l’intelligenza dei reparti speciali e della scientifica, il ritorno e la forza dello Stato. Ma diciamo la verità, nessuno può rimettere in ordine queste atroci rimanenze sull’asfalto. E nessuno potrà mai risarcire le famiglie, la città e lo sguardo di chi ha visto, il nostro sguardo oltraggiato. Oggi anche la scrittura più sincera è retorica, e anche le mie parole sono diventate cieche.

7 thoughts on “Quei resti per terra, il paesaggio e i fischi / IL MEDIORIENTE CHE CI ARRIVA IN CASA

  1. ester

    tutte le volte che succede qualcosa di importante leggo come primo articolo il pensiero di Francesco Merlo perchè so già che mi piacerà, mi commuoverà e darà voce alle mie emozioni più profonde. Se fosse possibile gli telefonerei ogni volta. Grazie

  2. Bruno Venturi

    Il suo pensiero mi riporta alla mente dei versi che Edoardo De Filippo dedicò alla morte di Pasolini. Parafrasati sembrano dirci ancora: “No non li toccate quei resti che fanno da confine a queste nostre misere vite…” Condivido appieno la sua lucida e sempre altissima scrittura. Grazie. Bruno Venturi

  3. Alessandro Mastrogiuseppe

    Caro Francesco Merlo (vorrei tanto poterle scrivere Caro Francesco, in forma confidenziale e amichevole), sento incombente il bisogno di rinnovarle periodicamente la mia stima… perchè leggerla per me è sempre motivo di impareggiabile emozione. Le sue parole, anche di fronte al malessere per un fatto di cronaca così spietato e inaudito, mi suscitano una sorta di riconciliazione col mondo. Di questo gliene sono profondamente grato. Spero un giorno di poterla conoscere di persona (come le ho già scritto altre volte) anche soltanto per stringerle la mano.
    Alessandro

  4. Lamberto Cesari

    La scuola é l´unica vera arma che ci rimane, il famoso “capitale umano” é l´unica crescita che deve essere infinita, senza se e senza ma.
    Ammetto che un po´ mi spiace che i commenti vengano moderati, li vivo sempre come una limitazione della libertá di parola. Ma capisco le ragioni.

  5. Laura Sivo

    caro Francesco, come sai vivo in Puglia, a 100 km da Brindisi. Sabato scorso, quando è arrivata via web la notizia, il tempo si è fermato e le nostre esistenze pure. Nessuna delle persone che conosco è riuscita a finire quello che stava facendo o iniziando a fare: rigovernare in casa, uscire per la spesa settimanale, andare dal parrucchiere, prepararsi per trascorrere il we al mare.
    Ci siamo ritrovati tutti ad avere paura.
    Ti abbraccio,
    Laura

    1. Roberto

      Caro Francesco, hanno ragione gli altri commentatori, le sue parole hanno un potere quasi taumaturgico sul malessere.
      Abbiamo un gran bisogno di elaborare i fatti traumatici attraverso il linguaggio, non possiamo rassegnarci alla codifica della brutalità senza provare a decifrarla. E vorrei estendere questo bisogno a tutti quegli aspetti della vita pubblica che ci troviamo davanti nella loro essenzialità inesorabile, come il primato del denaro sui valori etici.
      Peccato non essere arrivato prima su questa pagina, quando il fatto di Brindisi mi sembrava così intollerabile che l’unica reazione possibile fosse quella viscerale, delle emozioni elementari.
      Con grande ammirazione
      Roberto

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>