MATTEO MESSINA DENARO / I 50 ANNI DEL FANTASMA

(Il Venerdì)    L’idea che mi sono fatto è che non esiste. Dunque giovedì scorso è solo un nome che ha compiuto 50 anni, un manichino che è stato rivestito con tutti i drappi, i mantelli, gli accessori e i cappelli  della retorica mafiosa  e di quella antimafiosa. Le sue lettere dalla latitanza (ben scritte) e i suoi pizzini (sgrammaticati) sono stati esaminati da italianisti e storici come se fossero le lettere di Gramsci o di Moro e ora si attende un Dell’Utri che scovi e compri  gli ‘inediti’. La lettura subliminale che Sciascia fece delle lettere di Moro produce, come sempre accade ai fenomeni alti, mille epigoni stravaganti.

Matteo Messina Denaro è l’italiano più ricercato, al quinto posto nella lisa dei latitanti più ricchi del mondo compilata nel 2010 da ‘Forbes’, la rivista americana di economia e finanza, che ogni anno pubblica le graduatorie dei più ricchi del Pianeta. <La rete criminale più famosa del mondo rimane potente – spiegò Forbes – e sicuramente il suo latitante più pericoloso è Matteo Messina Denaro, conosciuto (sic) anche come Diabolik e come the italian mafia’s playboy,  noto (sic)   per il suo stile di vita veloce, per le sue Porsche e la sua passione per gli orologi Rolex>.

Vive in clandestinità da 19 anni benché siano stati arrestati più di 40  favoreggiatori tra postini, prestanome, vivandieri, parenti e amici. E, come hanno scritto su Repubblica Attilio Bolzoni e Francesco Viviano, c’è sempre  <qualcuno che assicura che ha i giorni contati. Sulla sua testa c’è una taglia di un milione  e mezzo di euro e c´è una squadra che lo rincorre dall´inizio dell´estate del 2006, subito dopo l´arresto di Bernardo Provenzano. Poi sono arrivati altri poliziotti. E finanzieri. E carabinieri. E agenti dei servizi di sicurezza. Un groviglio di sigle – Sco, Ros, Gico, Scico, Aisi, Aise – con un obiettivo che è unico: lui. Reparti speciali in missione da Palermo o paracadutati da Roma, esperti in intercettazioni ambientali e pedinamenti, l´eccellenza dell´investigazione italiana tutta acquartierata nella Sicilia occidentale per intrappolare ‘Diabolik’. Tutti sono a un passo dal prenderlo ma tutti si fanno una guerra assurda per arrivare primi>.

E Diabolik ha prodotto il suo Ginko, il vicequestore Giuseppe Linares.  Ed è uno strano destino per un investigatore con l’ aplomb del poliziotto che lavora di carta più che di pistola, che s’ occupa di traffici di capitali, di informatica e criminalità economica. Matteo Messina Denaro è anche “u siccu”, e poi “la sorgente dell’acqua”, e in codice è stato il 121 e poi il 123, e ancora è Alessio, che è il nome de plume con cui firmava le lettere a Svetonio, pseudonimo di Tonino Vaccarino, allora sindaco di Castelvetrano, ma in realtà una pedina dei servizi segreti. E però Messina Denaro non gli scriveva con la sua mano, preferiva affidarsi a uno scrivano che metteva in bella prosa i suoi pensieri. In queste lettere si raccontava ateo ( <ci fu un tempo in cui io avevo fede, poi ad un tratto mi resi conto che qualcosa dentro di me si era rotta>), rivoluzionario e seguace di Tony Negri, ( <se io fossi nato due secoli fa, con lo stesso vissuto di oggi già gli avrei fatto una rivoluzione a questo stato italiano e l’avrei anche vinta>) citava Pennac e Amado…  A chiunque verrebbe subito il sospetto che se Svetonio fu un’invenzione-trappola dell’antimafia allo stesso modo Alessio potrebbe essere stata un’invenzione-trappola della mafia. E invece gli inquirenti hanno autenticato le lettere che ora alimentano l’epica dell’asino laureato dalla vita, quinta elementare e pensieri alla Montaigne: < Prendo a calci in testa la morte perché non la temo, non tanto per un fattore di coraggio, ma più che altro perché non amo la vita, teme la morte chi sta bene su questa terra e quindi ha qualcosa da perdere, io non ci sono stato bene su questa terra e quindi non ho nulla da perdere… Quando la morte verrà mi troverà vivo, a testa alta e sorridente perché quello sarà uno dei pochi momenti felici che ho avuto nella vita>.

Ecco: <feroce nichilismo e disvalori> secondo l’autorevole analisi dell’italianista Massimo Onofri. E forse è qui che sta il genio di Matteo Messina Denaro: recita la parte del sub uomo che diventa  uomo, dell’ ignorante che fa il professore, attinge il proprio talento e la propria ferocia dalla propria goffaggine arcaica rivendicata come valore:  <Oggi il benessere, il progresso e la globalizzazione fanno andare il mondo in modo diverso ed i miei metodi risultano arcaici, quindi resto soltanto un illuso idealista ed entrambi sappiamo che fine fanno gli idealisti>. E così i pensieri profondi, gli aforismi del supermafioso, sono come gli occhiali a goccia dai quali non si separerebbe mai, come le Marlboro rosse che <fuma come un negro>, e come le donne: l’austriaca per la quale uccise il rivale, e Sonia, e la compagna Francesca che dorme con la sua foto sotto il cuscino e gli dà una figlia, Lorenza, che oggi ha 16 anni. E i pantaloni Versace e le camicie Armani che compra in via Condotti quando Totò Riina lo manda in missione omicida a Roma. E le discoteche. E il caviale e lo champagne Crystal. E poi i videogiochi, la richiesta al carrozziere di montargli sulla macchina le mitragliatrici <come la Jaguar di Diabolik>, la collezione di reperti archeologici e il tentativo fallito di rubare il  satiro danzante che piaceva al padre, don Ciccio, mitico capomafia che morì latitante, di morte naturale. Una telefonata segnalò che, appoggiato a un albero, c’era un cadavere. Era già vestito per il funerale. Ed ad ogni anniversario, immancabilmente, la famiglia pubblica sul Giornale di Sicilia un necrologio, qualche volta lungo e in latino, qualche volta breve e straziante.

E’ così incredibile che davvero sembra inventato: un delirio, un bisogno, un’ossessione che non può accontentarsi di un boss con la cintura che regge la pancia,  la tipica corporatura del sottoproletario meridionale di mezza età, la faccia rubizza, spavalda e sorridente, l’ omicidio come valore, la morte come  regola che gli dirige la mente, una famiglia  come universo di affetti fedelissimi e di potere sul territorio. No, anche l’occhio destro strabico deve diventare letteratura e dunque la trasmissione ‘Chi l’ha visto? ’ racconta che (forse) si è fatto operare in Spagna, a Barcellona. E nel 2003 lo hanno riconosciuto (ma chi?) in Venezuela con una donna <bellissima, straniera e silenziosa>.

<Dove sei, Matteo?> chiede ogni giorno alle 13, 30  il giovane  giornalista Giacomo Di Girolamo dai microfoni di Rmc 101, la più ascoltata radio del Trapanese, dove Matteo è un piccolo Osama Bin Laden che vive nello sguardo degli altri, nel sussurro degli altri, nei libri, almeno dieci, che gli hanno dedicato, nei murales che ritraggono il volto dell’uomo senza volto. Sul suo viso si sono esercitati sia i pittori  sia gli esperti di identikit. E’ il protagonista di un romanzo giallo di Giancarlo De Cataldo. ‘L’ invisibile’ è il titolo del libro che gli ha dedicato  Di Girolamo, che in radio ogni giorno denunzia  i traffici controllati da Matteo, gli appalti, il calcestruzzo, la droga, i rifiuti, l’oliva nocellara che produce l’olio più famoso del mondo, venduto anche a Michelle Obama (è l’olio del Padrino cinematografico, l’olio di don Vito Corleone).

Ma l’invisibilità è un concetto bizzarro e non solo giuridicamente. Per definizione infatti con l’invisibile trattano i profeti, gli imam, i maghi e i veggenti. L’invisibile è oltre la fisica, in un mondo che nessuno vede e del quale si può dire di tutto. Come si ferma l’azione delittuosa di un invisibile? Dove sta? Cosa fa? Cosa e? Chi è?

Come si vede se l’esistenza della mafia fa star male, la sua invisibilità (‘La mafia invisibile’ è il titolo di un vecchio libro di Piero Grasso e Saverio Lodato) fa stare ancora peggio. Ricorrere all’invisibilità, al mistero dell’apocalisse, al ‘non essere’ alimenta a Castelvetrano, a Marsala, a Selinunte… e in tutta Italia l’epica dell’invincibile. Nei ristoranti ti dicono storcendo la bocca: <Quello è il piatto che piace a Matteo>. Ogni tanto viene riconosciuto davanti a una granita con la panna, o a passeggio  in un negozio di via Garibaldi,  sempre afferrato con la coda dell’ occhio. Ti mormorano all’ orecchio: <Gira dentro un’ ambulanza con le sirene spiegate, chi ha il coraggio di fermare un’ ambulanza?>. E i carabinieri?  <E’ mai possibile che in questa città tutti incontrano Matteo tranne noi?> Che possono farci i carabinieri se a Castelvetrano in tanti somigliano a Matteo? Ecco: Matteo Messina Denaro è come Shakespeare secondo Borges: <Somigliava a tutti gli uomini, tranne nel fatto che somigliava a tutti gli uomini>.

2 thoughts on “MATTEO MESSINA DENARO / I 50 ANNI DEL FANTASMA

  1. Roberto

    Penso che messina denaro sia ben protetto dai servizi in quanto depositario di tanti segreti.probabilmente sono servizi atlantici che hanno sempre messo lo zampino in tutti gli attentati dal dopo guerra ad oggi.è il prezzo che dobbiamo pagare per la liberazione dal nazismo.usque tandem?saluti roberto

  2. luigi solidoro

    chiamami e se ti interessa ancora t aggiorno io io su Matteo Messina DENARO, 3492961387…., ALTRO CHE DIABOLIK…, e’ solo un infame come tutti i suoi DEGNI predecessori….., CELL 3492961387.

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