IL FILM DI WOODY ALLEN / UNA GIOIOSA CARTOLINA DA ROMA

E’ gioioso e prezioso questo Woody Allen che ignorando la sporcizia, le patacche, gli Alemanno,  i gladiatori del Colosseo e tutto il resto, scopre il dio di Roma nel dettaglio del pizzardone che in piazza Venezia dirige il traffico facendo danzare braccia e mani sulle note di Volare. E c’è il dio dell’Italia nell’idea che il genio della sopravvivenza solo qui elargisce a ciascuno un minimo garantito di talento naturale, come il sole che a Roma davvero bacia tutti. Succede infatti che un impresario di pompe funebri, paziente  modesto e mite,  ogni volta che si fa la doccia diventa un tenore più bravo di Caruso perché l’acqua che gli scorre sul corpo è come la pozione del dottor Jekyll. E però, nella Roma di Woody Allen, anche mister Hyde è solare e abita case dalle finestre sempre aperte,  cariche di gerani e di basilico, e non commette delitti perché  a Piazza di Spagna, a Fontana di Trevi, a Piazza del Popolo e sulle terrazze del Gianicolo i poeti non accoltellano il mondo ma lo trasformano in opera lirica, concerto, cantata, stornello, festa, festival e pubbliche pasquinate.

Capisco bene che i cinefili e i critici cinematografici storceranno il naso specialistico davanti all’ideologia dell’acquarello e al ritmo del musicarello quando Allen prende  a braccetto Mercurio che è il dio degli speziali, dei furbi e degli svelti di mano. Allora la sua Roma <fa a pezzi la canzone> e diventa la stessa del Lucio Dalla che nella ‘Notte dei miracoli’ ci avverte che <ci sono anche i delinquenti / non bisogna aver paura / ma stare un poco attenti>. E forse Lucio pensava alla banda del buco, a Gassman e a Capannelle, mente Woody rimanda a Petrolini e a Gigi Magni, al teatro degli equivoci e al doppio, e dunque a Giano che è il dio che accompagna l’epica dei sette re di Roma, il dio della pace e della guerra. Il dio bifronte  manda il marito in braccio alla escort, una Penolepe Cruz che rende onore al mestiere e fa della volgarità un cammeo sublime, mentre la moglie, bella e timorata, si lascia sedurre da un sontuoso Albanese che ha il fascino dell’attore trucido, famoso e piacione. Ma poi questa Bovary di Pordenone finisce a letto con il ladro gentiluomo di Bari, <sono specializzato in rapine d’albergo, ma  faccio pure qualche scippo>, che ha il bel ceffo di Scamarcio, monumento al broncio glamuor del cinema italiano.

Nella grande tradizione della letteratura dei viaggi in Italia, che fu l’educazione sentimentale dell’Europa e adesso è l’esotismo degli americani di Trastevere, provincia di New York, Roma diventa il quadro mentale del mondo che cerca il mondo fuori di sé. Ma l’ architetto di successo (Alec Baldwin ) ormai <giunto nel mezzo del cammin di nostra vita> mentre cerca la via dei Panieri, dove aveva abitato trent’anni prima,  incontra un giovane studente di architettura. Sotto la scossa tellurica della memoria riconosce quel ragazzo mingherlino e insignificante: è se stesso. Perciò gli va dietro, goffamente dondolandosi sulle note di ‘Arrivederci Roma’ che, purtroppo, Goethe Stendhal e Gautier non avevano sentito,  e   si rivede mentre fa l’amore dentro una macchina e mentre si fa sedurre  dalla collezionista di uomini, e con gli occhi dall’ espressione stancamente buona va incontro al dolore del rimorso e del rimpianto che è il combustibile  del fuoco della dea Vesta, la vera padrona di casa, la dea che presiedette alla fondazione di Romolo e Remo e oggi se chiedete a un romano dov’è il suo tempio vi risponde: <Di fronte all’anagrafe>.

In fondo è lo stesso miracolo che Woody Allen  ha fatto con New York, Barcellona, Londra e  Parigi. Racconta le città del mondo. Ma Parigi è onirica mentre Roma qui è il pittoresco gentile dove volentieri ci riconosciamo  perché, per una volta,  non ci sono né il pacchiano né la caricatura, ma c’è il dio d’Italia nel dettaglio del tinello marrone di Pisanello-Benigni, <il signor coglione qualsiasi> che diventa famoso solo perché è venuto il suo momento di diventare famoso  e di capire scanzonatamente che <siamo tutti uguali, i ricchi e famosi e i poveri e sconosciuti, ma è meglio essere ricchi e famosi>.

E bisogna strizzare gli occhi per non vedere l’essenziale e guardare solo i dettagli perché Benigni, che di suo è il contrario della faccia qualunque, compie il prodigio d’arte e riesce a farsi maschera anonima dell’ allampanato dal successo, e persino i suoi strambi lineamenti sembrano davvero comuni, il volto di diavolo  diventa ordinario, famoso perché non c’è niente di lui che si faccia ricordare e perché la letteratura turistica cambia  i connotati di tutti. Solo Woody Allen qui rimane se stesso nel ruolo del vecchio artista visionario ossessionato dalla morte e sposato con la sua psicanalista.  Diciamola tutta : ci piace questo Woody Allen perché rivela la nostra vera natura, che è romantica, e perché amiamo questa Italia, il nostro pane di casa, la cartolina che è sparita dalle vetrinette delle vecchie zie e ora ci viene restituita sotto  forma di un cinema che ci fa sorridere e sognare: aridatece le vecchie zie.

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