USAIN BOLT, STORIA DI UN LAMPO / In Italia siamo lenti o furiosi, mai veloci

 (Velvet)  La velocità  è il contrario della fretta, ci insegna l’autobiografia di Usain Bolt, il giamaicano che ha battuto tutti i record e promette a Londra di superare il limite estremo, al di là del quale c’è il volo di Icaro:  <9,58 sui centro metri e sotto i 19 sui duecento. Il corpo umano non può andare oltre>. Bolt compirà 26 anni in agosto e corre da quando ne aveva 5: la velocità si conquista lentamente.

   E forse è colpa del futurismo e della sua retorica sul lampo (il soprannome di Bolt è proprio Lightning)  se in Italia la velocità è un impiastro di luoghi comuni, roba per un quadro di Balla,  per un’ avventura aereo-pittorica, mentale o concettuale, ma non certo per il codice della strada e  per la  politica dove la velocità di governare e riformare è  fatica di coraggio e prudenza, la forza inesorabile della moderazione. In Italia prevale la furia, la precipitazione, e dunque l’ incontinenza della lingua più veloce del pensiero, il crash sulle autostrade dove vantiamo tristi primati, la cafoneria  dei clacson e del <guidare a fari spenti nella notte per vedere se poi è così difficile morire>.

   Al contrario la velocità è disciplina e dunque sofferenza come racconta Bolt  in My Story (Baldini e Castoldi). E’ tendere le proprie virtù naturali e il proprio talento ma sapersi fermare. E’ vincere la scoliosi,  rinunziare alle sale giochi, al sesso, al cibo. E’ un padre che si riscatta nella costruzione del figlio campione e si impegna a  farlo uscire dalle caverne di famiglia. Velocità sono un maestro e una scuola. Velocità è programmare e rispettare gli impegni, impiegare bene il poco tempo che ci è dato.                               

   Ma l’Italia o è lenta o è furiosa.  Tutti corrono e nessuno è veloce. Ci sono filosofi che esaltano il cosiddetto pensiero meridiano e scoprono nell’ arretratezza del lentissimo Sud il bello e l’ antico che resistono allo sviluppo. I libri dei meridionalisti sono di nuovo pieni di rabbia contro la fretta e la tecnica del Nord. Di nuovo la letteratura esalta chi va piano come i nostri fatiscenti treni, sino all’ amore per le sieste, all’ illusione che esiste un popolo contento di avere in tasca soltanto le mani, ai circhi dell’ emergenza che defiscalizzano e finanziano le non-ricostruzioni mentre il Nord del mondo è veloce, costruisce e cambia.

   La lentezza è la comare, la complice di quella velocità  all’italiana  che fu straordinariamente raccontata dal magnifico Vittorio Gassman nel film simbolo della fortunata generazione delle autostrade, quella che identificò appuntò la libertà con la fretta: di crescere, di arricchirsi, di deturpare per costruire case, di rimpinzarsi sino all’ obesità, la libertà di spicciarsi, di correre, di fare presto, di arrivare prima degli altri che è sempre meglio superare, sorpassare, lasciare indietro senza regole e senza rispetto.

  Ebbene, finiscono al cimitero i veloci del sorpasso e finisce  sepolto dal fango il popolo che si batte per la lentezza, contro le strade, contro i ponti, contro lo sviluppo, contro gli inceneritori, contro i Tav, contro la velocità di Usain Bolt.

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