Vattani figlio di Vattani / IL FASCIO ROCK DEL CONSOLE ITALIANO AD OSAKA

  E’ un figlio di papà da restituire subito al suo influentissimo e familista genitore. Insomma, va cacciato per cialtronaggine e non per apologia del fascismo questo console Mario Vattani, cantante fascio rock che, visto nell’esibizione  su Youtube  mentre gorgheggia <innalzeremo bandiera nera>,  non fa certo pensare al Duce, a Dino Grandi e a Filippo Anfuso ma purtroppo al degrado della diplomazia italiana, una delle più delicate ma anche più ‘castali’ e meno controllate strutture professionali del nostro Paese.

    Si capisce, osservandolo sul palco nel ruolo grottesco di camerata spostato e fuori luogo, che Vattani non doveva essere mandato a rappresentare l’Italia non solo in Giappone, che è uno dei cuori del mondo, ma neppure in Kazakhistan o in Turkmenistan. E sarebbe il caso di sapere chi e perché ha invece inviato ad Osaka questo Mario, figlio del più famoso e potente Umberto Vattani, uno dei diplomatici più importanti, fiduciario di Andreotti e di Berlusconi, già ambasciatore in Germania e segretario generale della Farnesina, a lungo sherpa dell’Italia in tutti i maggiori vertici internazionali con l’hobby sconcertante di girare sulle moto di notte e vestito di pelle. ‘Tale padre…?’. No: il figlio, come spesso accade, è molto peggio  

    Bisognerebbe dunque usare questo caso di ‘pizza e mandolino’ in versione nostalgica  di ‘fascio e mandolino’ per smascherare il ‘tengo famiglia’ dell’identità italiana all’estero. Bisognerebbe cioè approfittare del giovane Vattani – solo  in Italia i diplomatici sono ancora giovani a 45 anni – per contare quanti altri Vattani ci sono nel corpo diplomatico. E’ vero che questa vicenda di ‘ugola nera’ è  così grottesca da sembrare la trama di un cinepanettone sui nostri ambasciatori nel mondo, ma finalmente potremmo scoprire il bluff della politica estera italiana e mettere sotto rigorosa e responsabile analisi i processi di formazione e di cooptazione della nostra diplomazia dove la logica del cognome è più dura ed esclusiva che altrove, dove il familismo amorale  è la regola  del concorso, dove Osaka, New York e tutte le altre città del mondo sono i premi della diplomazia tribale, i lasciti di papà,  doti di famiglia, eredità, come dimostra appunto la storia di Mario Vattani che, senza paparino, sarebbe più da festival canoro degli skinhead che da etichetta protocollare delle cancellerie.

    Se poi ci volessimo divertire dovremmo sottoporre Vattani junior ad un esame di geografia e di storia asiatica. Gli italiani infatti hanno il diritto di immaginare che un diplomatico inviato ad Osaka impieghi il tempo libero per studiare le lingue  e le economie orientali, progettare opportunità di scambio tra imprenditori, organizzare incontri, analizzare e approfondire una storia che è ormai un terremoto continuo. Invece Mario Vattani si mette a strimpellare ponendo in ridicolo il suo Paese. Sui palcoscenici dei cosiddetti neofascisti assume nomignoli da forzuto, non ‘Richelieu’ ma ‘Katanga’, e inneggia a Salò invece di studiare la cultura dei samurai, e si libera dei completi azzimati a tre pezzi che sono la divisa  impostata dei nostri diplomatici, e diventa il camerata ‘Sottofasciasemplice’, camicia nera e tatuaggi sul braccio, chitarra e saluti romani in una sala battezzata “tana delle tigri’…:  è  un delirio, una parodia del fascismo eia- eia-alalà dinanzi alla quale persino IgnazioLa Russacon i suoi completi militari e le sue collezioni di soldatini appare inadeguato. Altro che fascismo, questa è fascisteria, fasci-scimmiottismo, una patologia politica che non è eversione ma autoirrisione, non è roba da scomodare Ferruccio Parri ma Ugo Tognazzi.  Soprattutto è l’ennesima prova dell’inconsistenza della politica estera italiana. E non è un caso che Vattani sia stato per molti anni la testa pensante della pittoresca corte clientelare di Gianni Alemanno.

    Raccontato dal quotidiano l’Unità, Mario Vattani è stato prima difeso e poi, per forza, mollato dal suo ministro nonché collega diplomatico Giulio Terzi di Sant’Agata. Adesso è deferito alla commissione disciplinare della Farnesina, un organo che a prima vista ci pare più di autodifesa che di pulizia. Difatti le corporazioni italiane, queste sì fasciste, non solo sono blindate – il termine più appropriato sarebbe il bizantino catafratte – contro le incursioni esterne,  ma sempre si autogiudicano e ovviamente si autoassolvono. Vedrete: il camerata Mario Vattani sarà, forse, formalmente rimosso ma poi, certamente, promosso.

10 thoughts on “Vattani figlio di Vattani / IL FASCIO ROCK DEL CONSOLE ITALIANO AD OSAKA

  1. Davide Leoncini

    Interessante, ma solo due commenti:
    1) nel prendersela con tutti i diplomatici forza un po’ il suo argomento insinuando che siano tutti come il Nostro, e non è così. Al massimo si capisce che lei ce l’ha molto con i Vattani, il padre per primo;
    2) quando pone il problema se Vattani Mario conosca la cultura del Sol Levante casca malissimo perché è un grande appassionato, parla un perfetto giapponese e lo ha studiato a lungo con programmi speciali. Semmai è questa l’anomalia, perché in Italia i diplomatici per studiare una lingua straniera devono fare i salti mortali e il “sistema” non è certo disegnato per aiutarli. A meno che non si abbia il papà giusto…
    Insomma, non buttiamo il bambino con l’acqua sporca… Questo sì che è autolesionismo e sfascismo. Vedrà che se decideranno di risponderle sarà facile trovare le storie di qualche disgraziato/a che ha fatto l’impossibile in posti difficili e di cui si possa andare fieri…

    1. Francesco merlo

      Capisco il suo tono e la sua aspirazione alla moderazione e alla saggezza e conosco anche io diplomatici italiani preparati, seri e sobri dei quali andar fieri, ma la diplomazia italiana rimane, purtroppo, la casta piu’ familistica che abbiamo, sia nella selezione sia nelle carriere. I giornali dovrebbero occuparsene di piu’ e vedra’ che prima o poi lo faranno. Se lei e’ amico dei Vattani fa certo bene a difenderli e non dubito che il console sia appassionato di Sol Levante: immagino che ci arrivi anche attraverso la stessa (sotto)cultura di destra che esibisce nelle sue canzoni, che non sono musica ma comizio. Lei casca malissimo se crede che a noi di Repubblica non piacciano i Vattani o che io ce l’abbia con il papa’. Questa storia grottesca ci interessa solo perche’ svela, purtroppo,la diplomazia italiana che sta a cuore a noi probabilmente piu’ che a lei.

  2. Albano

    Carlo Merlo,
    Temo che il tono aspramente critico rispetto alla diplomazia italiana, usato ancora nella sua replica ad un precedente commento, rischi di risultare sospettosamente accanito e purtroppo un po’ generalizzante.
    I risultati dei concorsi sono pubblici, li ho consultati, ed i cognomi sembrano normalissimi (salvo alcune eccezioni ovviamente, che pero’ non provano necessariamente alcunché). Ha mai scambiato impressioni con chi li ha provati e magari vinti? Io sì. Ed è gente che per prepararli studia, nella migliore delle ipotesi, per almeno un anno.
    Se dice di conoscere anche diplomatici preparati perché poi afferma che questa storia “svela la diplomazia italiana”? Come se i nostri diplomatici fossero tutti fascio-rock, cooptati per lignaggio, membri di un sistema familistico o comunque in definitiva incompetenti?

    1. Francesco Merlo Post author

      Anche i concorsi universitari sono pubblici e tuttavia familistici. Controlli meglio i cognomi e conti quelle che lei chiama eccezioni. E soprattutto indaghi sulle carriere, sulle assegnazioni. Non si tratta di impressioni da scambiare, ma di evidenze. E’ vero che la diplomazia va difesa, ma da se stessa. Un po’ di sano accanimento non guasterebbe in tempi di presunta lotta alle caste e alle corporazioni.

      1. Albano

        Immaginando le abbia, aspettiamo allora le evidenze sui concorsi truccati (reato penale di cui, se ne ha notizia, dovrebbe informare la magistratura) e le carriere falsate (per le quali i colleghi penalizzati dovrebbero far piovere ricorsi al tar del Lazio).

        Quanto alle eccezioni o presunte tali, ho controllato meglio e confermo che cognomi che si ripetono non sono la maggioranza (e in ogni caso resto dell’impressione che se anche fossero più numerosi non proverebbero di per se stessi alcunché di concreto).
        Grazie comunque per l’attenzione e per gli spunti di riflessione che ci offre.

      2. Giovanni Alessandri

        Quello che continua a sfuggirmi è l’obiettivo del “sano accanimento” cui lei fa riferimento. Mi pare più che legittimo denunciare un fatto circostanziato: concordo con lei sulla incompatibilità del ruolo di rappresentante consolare della Repubblica italiana con quello di apologeta del fascismo e mi aspetto da contribuente un’inchiesta disciplinare seria.
        Laddove francamente ho difficoltà a seguirla (sulla stessa linea di chi ha scritto prima di me) è quando generalizza senza tuttavia fornire elementi circostanziati. La pregherei quindi di essere più preciso. Anzittutto perché mai come in questo periodo di “resa dei conti” è necessario fare chiarezza, senza scatenare inutili e dannose “caccie alle streghe”.
        Aggiungo anche che un giornale autorevole come repubblica non possa permettersi di scadere nel gretto petegolezzo, come temo abbia fatto citando il presunto “hobby sconcertante del padre”: posto che sia vero, ma le sembra veramente cosi sconcertante girare in moto vestito di pelle la notte? E’ immorale? Costituisce forse un reato?

        In definitiva, credo che Repubblica meriti di meglio, come il caso (sacrosanto) su cui ha scritto meritava una illustrazione più accurata, puntuale e seria.

        La ringrazio sin d’ora per l’attenzione che vorrà riservarmi e per l’opportunità che mi offre nell’esprimere il mio pensiero.

        Giovanni Alessandri

  3. Luca Terrazzani

    Caro Merlo,

    pur non avendo pregiudizi ne’ negativi ne positivi sulla categoria dei diplomatici, e nello specifico alcune esperienze personali positive (ma non di per se’ dirimenti della questione) con le nostre ambasciate all’estero, al di la’ di questa vicenda (in cui il console a osaka va certo punito e con severita’) anche io sono rimasto piuttosto colpito da suoi toni particolarmente generici e savonaroleschi, da considerazioni su un’intera burocrazia che vanno ben al di la’ della vicenda di questo individuo, e vengono sbattute in prima pagina su un quotidiano nazionale e confermati sul suo sito.

    Al di la’ dei diplomatici, che mi sembrano pochi e sinceramente non proprio prioritari, vorrei allora parlarle piu’ in generale di giornalismo.

    E’ il momento di parlare male delle istituzioni italiane o delle burocrazie perche’ va di moda? Confesso – ebbene si: sono un uomo delle istituzioni. Testimone di eccellenze (poche) come di disastri (alcuni) e di mediocrita’ (tantissime). Ma negli anni passati, prima del pur meritorio trend sulle varie caste di Stella e Rizzo, ed al di la’ di pochi fulgidi esempi di reporter agguerriti e documentati, dove eravate, cari giornalisti?

    Segnalare speficifici e circostanziati casi o motivi di malaburocrazia e’ sicuramente una funzione importante dei media, quasi come quella di tenere in scacco la classe politica, che a mio modo di vedere dovrebbe essere il ruolo prevalente. Si fa abbastanza in entrambi i sensi? Io personalmente non lo credo (In questo panorama, Repubblica ha fatto dell’ottimo giornalismo investigativo e di opposizione in questi anni, gliene va dato atto. La mia impressione e’ che soffra pero’ del proprio partigianismo, che va a scapito della crediblita’ complessiva. Lo dico con molto rispetto, ed il senso critico che spero vogliate incoraggiare nei lettori.)

    Si tratta, in ogni caso, di lavorare con accuratezza e precisione, con fonti e riscontri – altrimenti si fa solo del malogiornalismo. Lei pensa che ci sia abbastanza rispetto delle regole sacre del giornalismo nel nostro Paese? Io vedo ben pochi Bonini e (compianto) D’avanzo. Sogno – sinceramente, anche da burocrate quale sono – un Paese di media (soprattutto televisivi) piu’ agguerriti, che lavorino pero’ in modo documentato, circostanziato, non generalizzando. Con una piu’ forte cultura dell’indipendenza dal potere e della messa in discussione di tutto quanto e’ “ufficiale”, da qualsiasi parte provenga.

    Anche di sani e costruttivamente critici media, fieramente indipendenti dal potere politico (e non solo), vive una democrazia. E sicuramente di senso critico, piu’ che di prediche, i nostri concittadini hanno in questi tempi confusi un grande bisogno.

    Saluti cordiali,

    Luca

  4. Arianna Falchi

    Gentile Sig. Merlo,

    Lei parla della casta dei diplomatici, realtà familistica. Ma vogliamo parlare della casta dei giornalisti? Le scrivanie delle redazioni ormai sono diventati seggi ereditari. Io potrei fare tanti di quegli esempi che andremmo avanti fino a domani mattina. Magari, se ci pensa, ne viene in mente qualcuno anche a Lei.

    Per quanto riguarda il caso specifico, il Sig. Mario Vattani ha commesso un reato, ma non mi risulta sia un cialtrone. Parla il giapponese e altre lingue perfettamente, è arrivato fra i primi nel suo concorso. Conosco imprenditori che lavorano con il Giappone e ci hanno avuto a che fare direttamente e Le devo dire che tutti quanti hanno sempre riportato giudizi molto positivi su di lui. Quindi, mi scusi ma mi pare molto pretestuoso e intellettualmente disonesto scrivere che va cacciato per cialtronaggine. Senza contare che quando si ha un padre così potente, ci si deve misurare anche con i suoinemici all’interno del Ministero quindi non credo che la vita di questo giovane sia stata poi così facile come Lei scrive, non si ì capito bene in base a quali informazioni.

    Un’ultima cosa, mi perdonerà la provocazione. Il video risale ad aprile se non sbaglio. Ebbene, come mai adesso questo scandalo mediatico? Forse perché ad aprile il più celebre papà era ancora nel pieno delle sue funzioni e adesso che attraversa una fase di sfavore è meno pericoloso quindi più attaccabile?

    Cordialità

    Ps. Non sono amica di Vattani e vengo da una profonda tradizione familiare resistenziale. Ma non mi piacciono le accuse e gli scandali pilotati nonché la pubblica gogna

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