CHIUDE IL BAGAGLINO BOROTALCO DELLA DESTRA

   Addio Bagaglino. Ucciso dalle feste di Arcore e dal degrado della malafemmina  a squillo della politica, chiude il tempio ridanciano,  scollacciato e qualunquista della destra italiana , il palcoscenico dove Berlusconi recitò la sua prima barzelletta a Roma, quella di Silvio-Gesù che cammina sulle acque  davanti  ai comunisti invidiosi che non gli riconoscono il miracolo: <Guarda un po’, non sa neanche nuotare>.

      Chiamato sul palco da Pierfrancesco Pingitore, detto Ninni, <ecco a voi un amico>,  il bauscia milanese proponeva nel Salone Margherita, che era stato di Petrolini,  quelle  gag da guitto da crociera che poi divennero la cifra della sua politica estera; provava  il repertorio di corna e cucù che avrebbe presto usato come  codice diplomatico, l’intermezzo comico che al Bagaglino era annunziato da raggi colorati e dal ritmo precipitoso dell’orchestra. E il pubblico si scatenava mentre Silvio si  romanizzava tra Pippo Franco e Martufello nel  sancta sanctorum del potere in libera uscita dove anche Di Pietro è poi andato a prendersi la torta in faccia che, lesto come uno sbirro, riuscì per la verità a schivare.

    La presero in  pieno Mastella e La Russa.  E la sera, applicando una complicatissima geopolitica di sala, venivano seduti a favore  di  telecamera Lamberto e Donatella Dini, Gianfranco e Daniela Fini, Gianni Letta, Casini,  Rutelli… e fu indimenticabile il senatore Schifani confuso e stordito tra le tette di Aida Yespica.  Tutti andavano ad  interpretare la stessa sgangherata maschera del politico che paga pegno alla satira accomodante e compiacente. <Il sosia di Craxi> rievoca  Pingitore <fu invitato ad un congresso socialista,  e in via del Corso lo salutavano le guardie; persino i corazzieri sbattevano i tacchi >. Alla fine il povero signor Zerbinati  fu costretto, in aeroporto, a scappare sotto una pioggia di monetine.

  Populo flagitante, a richiesta del pubblico, fallisce dunque   l’officina delle maggiorate  dal corpo mollemente ondulato, occhi grandi e bistrati, bocca  rossa, un agguato di lussuria per l’ometto italiano di provincia che non riuscendo a perdersi nella donna perduta prenotava, con la moglie, una serata al Salone Margherita: arrivava a Roma in treno, dormiva in una pensione di via Sistina e rideva felice per la comicità scollacciata  e per gli ardimenti acrobatici di Pamela Prati che, nel ruolo della donna serpente,  prefigurava già la Nicole Minetti avvinghiata alla pertica  nella sala del bunga bunga.  E come in un presagio, la vedette del sogno birichino della ‘maggioranza silenziosa’ era già vestita  da infermiera o da poliziotta oppure si agitava davanti ad un’inferriata, con le gambe in una rete di seta nera che faceva un largo ricamo sullo splendore della carni: la lascivia affacciata alle grate del convento.

     Davvero sono i calchi su cui Berlusconi ha modellato la sua estetica senile. Come potevano resistere quelle esibizioni tutto sommato spensierate alla drammatica svolta del Berlusconismo che ha sostituito le imperatrici bizantine del Salone Margherita che sapevano ballare, cantare  e recitare con le ragazzotte già rifatte giovanissime dal chirurgo ed educate dalla mamma-maitresse a darla via a tariffa?  Bastano le foto di Ruby e della Began per capire perché il Bagaglino è ormai una nostalgia da borotalco, come i vecchi calendarietti dei barbieri che pure schiacciarono l’occhio al maschio caprone.

   Porte aperte verso il consenso, le imitazioni ruffiane piacevano all’Italia democristiana e socialista, e non solo perché erano spesso eseguite con maestria. La signora Leonida di Leo Gullotta  era un capolavoro del travestitismo e al tempo stesso del trasformismo,  <cchi omu!, che uomo!>  diceva la finta casalinga timorata dinanzi al finto Craxi e poi al finto De Mita e ancora al finto Prodi e ovviamente al finto Berlusconi, ma soprattutto al finto Andreotti che fu il principe e il cerimoniere del Bagaglino preberlusconiano. <Porto in giro la mia gobba come il Santissimo Sacramento> disse l’Andreotti- Lionello all’Andreotti-Andreotti che, mai in pace con il suo paese, liberava in quel palco la famosa umanità bonaria e cinica che faceva ridere e al tempo stesso inorridire l’Italia. Andreotti mescolava pazienza e cattiveria, tempi e sapienza teatrali e sapeva di non somigliare agli italiani che adoravano le sue battute: <Io – disse al finto Andreotti – in una sola cosa non le somiglio: non sono andreottiano >.

     Muore dunque per sfinimento, seppellito dalle escort di Stato, il varietà scostumato  di Valeria Marini e di Manlio Dovì che, convocato ad Arcore nel ruolo di Sarkozy,  ha portato il Bagaglino nel copione dell’epilogo, nelle tristi comiche finali  di un avanspettacolo  che Berlusconi a poco a poco ha avvelenato sino a renderlo archeologia.  Negli ultimi anni era stato infatti relegato negli anfratti più bui dei palinsesti delle sue tv, tra le pubblicità delle dentiere e degli integratori alimentari, recita da parrocchietta con tanto di pernacchie e parodie sempre più idiote e sempre facendo disperare nell’ombra  Pier Francesco Pingitore <e tutti i divertiti fantasmi che mi porto dietro>, da Luciano Cirri a Lionello e a quel Mario Castellacci che nel lontano 1965 fu il vero inventore del varietà -risposta della destra romana alla sinistra milanese del Derby: le canzoni di Gabriella Ferri contro quelle di Enzo Jannacci.

   Il 4 ottobre Pingitore celebrerà con una festa  <senza rancore>  il  ‘Bragaglino’  poi ridimensionato in Bagaglino perché gli eredi di Bragaglia non vollero saperne di tutti quei fascisti. Castellacci era anche l’autore dell’ultimo inno del fascismo, la triste e disperata canzone <le donne non ci vogliono più bene / perché portiamo la camicia nera>. Pingitore dice che non ci sarà un inno del berlusconismo a Salò: <Apicella non vale Castellacci>.  Ma per l’amico Berlusconi il 4 ottobre farà suonare quell’altra canzone di Castellacci che fu il grande successo di Gabriella Ferri al Bagaglino: <… così certo e così bello / anche tu diventerai / come un vecchio ritornello / che nessuno canta più>.

One thought on “CHIUDE IL BAGAGLINO BOROTALCO DELLA DESTRA

  1. Roberto Pellegrini

    Leggendo queste cronache dell’infortunio, dopo ammirare la Sua maestria indiscutibile, Merlo, come narratote noir di un panorama ancora piu’ noir, non posso un altro di pormi e porre una domanda, cioè se vediamo tutto quanto da anni, da secoli, se pure anzi ne irridiamo di tanta ridicola e bavosa storia, come cavolo no prendiamo la vita e la libertà tra le nostre mani e cominciamo a raccontare la storia da una chiave piu’ speranzata, a togliere il protagonismo a quello che ci schiaccia, a mettere a confronto quella mediocrità quella parvenza, con la realtà di un altro modo di capire, di fare, di creare. Personalmente ne sono stufo, saturo, annoiato, seccato, sofro attacchi di vero schifo, mentre leggo questa vergogna che mi fa la svergogna gonfia, ipertrofiata e veramente pesantissima. Non solo la vergogna per il ioglare dei bunga bunga, che sembra di non avere piu’ risorse. Non solo. Pure, e soprattutto mi colpisce la vergogna per noi, per un popolo così stupito e fermo, che non riesce a fare un’altro di ridere, di fare smorfie, pernacchie, beffe, di ridicolizzare proprio a chi ci ridicolizza tutti danvanti al mondo. Invece fermarlo in secco. Tagliare di un colpo civico questo incubo che merita tante cose, meno la scusa della comicità perenne, che sembra un’indulgenzia, una certa complicità col buffone, immeritata per quel tizio impesentabile.
    Credo che dare sempre tanto protagonismo ad un cretino, come votarlo, sopportarlo sino alla fine del tempo legislativo come se quello fosse la cosa piu’ normale, parlarne costantemente, fare da quella caricattura la stella comica di questa irridente commedia dell’arte rozza, non ci aiuta per niente a liberarci di lui, altrimenti, sembra che quell’ossessione per citare le sue pazzie, le sue stupidità, finisca per renderle normali, ed addirittura abbiamo il serio pericolo di finire per identificarci con quell’universo marcio e puzzante come fosse il piu’ naturale paesaggio quotidiano. Dicono i mistici e i psicologi che l’uomo finise per identificarsi con quello che spesso contempla, guarda, pensa, parla, critica e ricrea, anche pensando di odiarlo. Quindi, non sarebbe piu’ utile ed innovativo, cercar di disegnare già il dopo Bagaglino? Abbiamo tanto da fare, da inventare, da mettere in moto, in marccia. O forse no?

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