BRUNETTA IL FANTUTTONE – ALIBERTI EDITORE / Prologo

 (Dal libro Brunetta il Fantuttone -Aliberti Editore – pagg.135 – euro 11 )

   E’ di Renato Brunetta l’idea di raccogliere tutti i miei articoli su Renato Brunetta. Quando si polemizza con lui, e non importa su quale argomento,  arriva sempre il momento in cui Brunetta grida: <Razzista, sei un razzista>.  Basta infatti un accenno, diretto o indiretto, alla sua statura, basta pronunziare le parole ‘basso’ o ‘piccolo’ o soltanto dire che il progresso umano è dovuto allo sforzo dei piccoli proprio perché insofferenti del poco spazio che occupano, e Brunetta tira fuori l’argomento che gi sta più a cuore: <Razzista> urla al telefono,  <quello è razzista> racconta in tv e nei libri che scrive. E qualche volta lo fa con ironia: <dica la verità, lei mi trova ancora più piccolo che in televisione?>. Più spesso ricorre al tono stizzoso e bisbetico che lo ha reso famoso, < come reagirebbe lei, se avesse un figlio al quale dicessero continuamente ‘nano, sei un nano’?>. Ma sempre si avverte, neppure tanto fuori scena,. il compiacimento per il disagio sopportato, per le presunte umiliazioni subite, per la grandine di dileggi e di sciagurate persecuzioni che si sarebbero abbattute sulla sua vita di piccolo ma ingombrante genio. E’ la prova di una grande fragilità prima ancora di un’ossessione?

    E’ vero che la sua insistenza  facilmente può  fa venire in mente l’idea – il luogo comune direi – che ci sia una voglia  di risarcimento, anche fisico, oltre che psicologico e sociale, alla base delle sue sparate: <avrei preso il Nobel dell’Economia se non avessi scelto di servire il mio paese con la politica>. E sono sicuramente materia di psicanalisi i mille insulti pronunziati non al bar ma nei convegni pomposi, nelle sedi istituzionali, da cattedre solenni e prestigiose: fannulloni, ignoranti, siete la peggiore Italia, vi prenderei a calci, la sinistra è di merda..…  Quel ridere che subito degenera in sghignazzata, il carattere rancoroso , il malanimo che si percepisce nei suoi sfoghi sempre violenti,  esprimono davvero l’animoso bisogno di un risarcimento, la rabbia che cerca riscatto.  Sicuramente c’è qualcosa che è andata a male.  Ma si tratta evidentemente di una furia sociale, culturale e politica. Quella della statura fisica è invece un trappola nella quale Brunetta cerca sempre di far cadere i suoi critici  per potere appunto dare  una legittimità, nientemeno antirazzista, al  disprezzo infantile che non riesce a governare ma dal quale, al contrario, si fa completamente dominare.

    Fortunatamente quasi nessuno lo prende sul serio come vittima del razzismo, se si escludono i giornalisti che lavorano per lui. Nessuno per esempio può davvero pensare che Massimo D’Alema gli abbia detto che è <un energumeno tascabile> per razzismo.  E’ difficile immaginare che D’Alema coltivi forme di disprezzo che, come quelle di Brunetta del resto, non siano intellettuali ma legate alla struttura fisica.  Anche perché D’Alema,  il quale è umorale e spocchioso quanto Brunetta anche se non vive di dinamite come lui ma semmai di veleno, è a vista d’occhio piccolo di statura.

    Viviamo in un Paese che  ha costruito semmai un razzismo al contrario, trasformando la bassa statura in un punto di forza, a partire dallo sport dove Gianni Brera ha inventato la teoria degli abatini vincenti.  Con cura e attenzione letteraria abbiamo sottolineato, insistito, martellato e magari un po’ stufato su quanto è basso e tuttavia alto il genio italiano, e siamo tutti innamorati del Rascel corazziere: <mamma ti ricordi quando ero piccoletto…>. E difatti Brunetta, quando apparve sulla scena italiana fu subito simpatico. Già nella prima foto di gruppo del governo Berlusconi, sembrava appunto incarnare la figura retorica del piccolo che è grande e dai grandi merita l’ omaggio. L’idea fissa è quella della terribile potenza del piccino che ha dominato il Novecento.

  E si va da Lenin (1,68) a Stalin (1,63). Da Hitler (1,69) a Francisco Franco (1,66). Per non parlare di Al Capone (1,63) e di Toto’ Riina (1,50). E della regina Elisabetta che, coi tacchi, supera appena l’ altezza dell’amatissimo re Hussein di Giordania. E di Hiro Hito, sulla cui bassissima statura esistevano, quando l’ imperatore del Giappone era in vita, diverse versioni, tutte apocrife, mormorate e insolenti perché non c’è sistema metrico che possa misurare la levatura di un dio in Terra.

   Negli anni dei teorici della razza, il già dotto e fantasioso Amintore Fanfani (1,63) scrisse un autorevole elogio dei brevilinei che, pubblicato nel 1936 a cura dell’Università Cattolica, dove Fanfani insegnava Storia economica, fu così giudicato dal Duce (1,66): <E’ magnifico, ma con un unico difetto: è un po’ lungo>. Fanfani, che da leader democristiano avrebbe poi affrontato i giornalisti impertinenti con il classico <vile, tu uccidi un uomo corto>, scrisse il suo saggio, oggi reperibile solo nella Biblioteca Sormani a Milano (lo pubblichiamo qui in appendice) in un fascicolo riassuntivo del dodicesimo Congresso internazionale di Sociologia, che si era tenuto a Bruxelles dal 25 al 29 agosto del 1935. L’ articolo verteva su <L’evoluzione costituzionalista delle classi dirigenti> ed era accompagnato dagli interventi di altri costituzionalisti, tutti specialisti di Costituzione, ma nell’ ovvio senso di costituzione fisica. Ed è sorprendente come, in quegli studi di allora, si ritrovino, purgati degli aspetti cosiddetti scientifici, tutte le convinzioni e i luoghi comuni di oggi, ai quali non si può negare una certa verità , anche a quelli nascosti nella retorica del piccolo perciò grande. La vulgata popolare, che si spinge sino alle barzellette sui nani, attribuisce infatti al longilineo un’ intelligenza contemplativa, analitica e mesta, da taciturno indeciso e sognatore malinconico, con la chioma folta e le sopracciglia corrugate nello sconforto, mentre dall’ altra parte c’ è il faccione pieno e sorridente con il cranio quasi calvo, il doppio mento e il collo massiccio del brevilineo energico, persuasivo, ottimista, sintetico. Nell’ Italia di Mussolini e Vittorio Emanuele III, i cantori dei brevilinei non si limitavano, come implicitamente fanno oggi i cantori del piccolo – grande Brunetta, a invocare la rivincita, sulla natura avara e ingiusta, dei vari Napoleone (1,53), Luigi XIV (1,56), Alessandro il Grande (1,50), Carlo Magno (1,51), Attila (1,54) e Tamerlano (1,45). Nell’ Italia dominata dalla <alta personalità brevilinea astenica, con la sagoma fisica quadrata, la mente cesarea, la volontà incrollabile e la duttilità delle risorse>, non poteva certo bastare l’ ipotesi, di povero buon senso, che il piccoletto si rivolti contro la fisica e la metafisca e sfrutti il suo astio in cerca di un risarcimento, e che diventi dunque tenace e irresistibile, e magari cattivo ma pur sempre infine grande, grazie all’ inesauribile tensione e alla voglia di rivalsa. Invece, studiando i quadri di Gentile Bellini e di Tintoretto, il ventottenne professor Fanfani elabora tabelle e trova che nei ritratti del primo sono prevalenti i brevilinei e in quelli del secondo i longilinei e da qui spiega il rigoglio dell’ Italia del Trecento – Quattrocento e la crisi dell’ Italia del Quattro – Cinquecento. Allora Fanfani leggeva la storia come lotta tra brevilinei e longilinei e vedeva nella vittoria degli uni sugli altri il prevalere della produzione sul consumo, dell’ accumulazione sulla dissipazione, della crescita sulla crisi, in definitiva del Bene sul Male. Anche nel mondo d’ oggi, dominato dall’ effimero e dallo spettacolo, si rimane sbalorditi misurando i piccoli – grandi miti del Secolo (breve): da Marilyn (1,62) a Marlon Brando (1,65), da Dustin Hoffman (1,58) a Woody Allen (1,63), da Paul Newman (1,62) a Humphrey Bogart che misurava 1,64 e si rialzava coi tacchi, come il Berlusca e come Sarkozy. Sono elenchi inspiegabili se non si accetta sommessamente, a mani alzate, l’ elogio del brevilineo, magari evitando di spingersi troppo in là come il costituzionalista Fanfani che trovava i longilinei <ipertiroidei, iposurrenalici e ipogenitali> e i brevilinei <ipotiroidei> e, ovviamente, <ipergenitali>…

    Ecco: se mi sono dilungato su questo punto e ho riproposto le scientifiche corbellerie che fanno però parte dello spirito di un popolo, è perché Brunetta, dando del razzista a tutti i suoi antagonisti, rivali e competitori e dunque pure a me,  meritava una risposta definitiva o, per dirla con ironia, una soluzione finale. Anche io del resto  sono piccolo di statura, ma non mi agito come lui. Perciò ogni volta che mi ha dato del razzista la mia reazione è sempre stata: suvvia Brunetta, non fare così.

 E adesso  ho portato a termine io quel che lui aveva solo cominciato e minacciato: ho detto sì alla gentile sollecitazione dell’editore Aliberti e ho raccolto qui i miei articoli su Brunetta, benché io non ami i libri dei giornalisti e meno che mai i libri che dei giornalisti ripropongono gli articoli. Ma l’ho fatto per ribadire con convinzione che la statura è probabilmente la cosa migliore che Brunetta ha. Sicuramente la più simpatica. E non è la sola.

  Si tratta di simpatie che ha dissipato. Al contrario di quel che va sostenendo, la sua bassa statura era infatti la tipica risorsa  italiana, il suo straordinario piedistallo. Ma lui  ne ha fatto una gabbia. Ha individuato il pregiudizio e invece di smentirlo lo ha confermato, ed è diventato come quel personaggio del libro di Achille Campanile (‘Il povero Piero’) che sfidava tutti a duello e viveva con la sciabola in mano ma ad ogni scontro invece di diventare più grande perdeva pezzi e diventa più piccolo, sempre più piccolo. Finì a vivere dentro un portapillole.

    Quando ancora non era diventato ministro e la sua antropologia di agitatissimo fantuttone non si era così bene espressa, mi piacque molto il racconto che Brunetta faceva delle sue origini, la storia del padre che vendeva oggetti vari su una bancarella a Venezia, e di come lui, da ragazzo, lo aiutasse. Insomma, i difficili inizi e la fame patita. Vedevo nel socialmente basso che diventa  socialmente alto una rottura, un ingorgo di impulsi, un eccesso di sollecitazioni, il punto debole trasformato in forza, l’elemento strategico di una personalità che ha dato scacco al destino. Il modello vincente è Vittorio Gassman che entra al liceo timidissimo e addirittura balbuziente perché ingolfato di pensieri e ne esce poeta e attore, tecnico della foné: da tartagliatore a  fine dicitore. 

      Ebbene ancora più sociale ed edificante è il salto dalla bancarella al governo del paese. C’è infatti la prova che la democrazia funziona, e che anzi è proprio questo il bello della democrazia: l’ascensore sociale, la possibilità di farcela, la scalata dal bisogno al merito. Ma Brunetta ha sporcato tutto con l’astio, con il desiderio di ‘fargliela pagare’. Non sogna che tutti i venditori ambulanti diventino ministri, ma che tutti i non ministri diventino venditori ambulanti.

     Inoltre Brunetta era socialista di formazione, il che significa romanticismo ed utopia, il luogo del risarcimento ideale e reale, la voglia di altrove che nel comunismo si coniugava con il partito, la disciplina e  il cinismo, ma nel socialismo aveva, prima ovviamente di degenerare, l’imprinting dell’avventura e della fantasia.

    Tutto questo in Brunetta è andato a male: la simpatia della statura e  l’esemplarità della formazione. E certo c’è anche l’idea infelicissima di mettere il socialismo al servizio di Berlusconi. Non si può fare il socialista agli ordini di Berlusconi.  E’ come se il capitano di una nave corsara si mettesse al servizio di un armatore. Il corsaro cerca l’imprevisto, la creatività, il riscatto sociale, la libertà. L’armatore vuole la produttività, l’efficienza, il cartellino, l’orario, la gabbia e la punizione

     E’ tutta qui la storia di Brunetta. E’ la storia di un rancore. E’ un bene deteriorato dalla bile. E’ un vino inacidito. E’ un’acqua avvelenata.

    Altro che piccolo! Il rancore è grande. E forse  ogni volta che un ministro o, più genericamente, un potente  si fa debordante e dunque impresentabile, bisognerebbe condannarlo all’ autodimezzamento, fargli praticare  l’ autoriduzione. Dev ’esser questo il senso del portapillole   nel quale Campanile costringe a vivere quel suo agitato personaggio autoridotto a miniatura.

    Di sicuro Brunetta è stato il governante più stalinista che l’Italia abbia mai avuto, ha messo la sua collera antropologica al servizio di un modello di società che è ordinata e giusta solo se è regolata dalla frusta. Ha trattato i temi dell’innovazione, del mercato, della flessibilità, dell’inefficienza nel pubblico impiego come se fossero materia di delinquenza sociale.

     E’ legittimo sostenere per esempio che ci sono privilegi che spesso sono spacciati per conquiste sindacali. Ma solo il governo Prodi  ha tentato, sia pure malamente, di far partire un processo di smantellamento di quelle rendite di posizione, di quelle incrostazioni e di quei privilegi, che rendono più costosa e più pesante la vita quotidiana, dal prendere un taxi al comprare le medicine, dall’ aprire un negozio al fare impresa. E infatti i tassisti romani ce l’hanno ancora con Veltroni e con Bersani. Eppure  le liberalizzazioni erano il sogno dell’ elettore di centrodestra. Sono state uno dei tanti tradimenti del governo Berlusconi.

     E Brunetta, che pure ha strepitato sui  grandi temi del mondo del lavoro,  alla  fine, nell’Italia  dei raccomandati inetti, dai banchieri ai macellai, dai giornalisti ai tabaccai, dai pizzicagnoli ai notai, ha preferito ordinare lo sterminio dei precari come fossero kulaki.

     Eppure  in Italia non si entra nei mestieri, vale a dire nelle corporazioni, se non per cooptazione familistica. Ed è questo un filo  che unisce fascismo, regime democristiano , berlusconismo e persino sindacato. La corporazione in Italia è una famiglia allargata, è tribalismo ristretto, è cosca feroce. Ma Brunetta ha dichiarato guerra ai poveri impiegati, ha cavalcato la demagogia qualunquistica del ‘dottore è fuori stanza ’ e il suo famoso fannullone è diventato l’uomo delinquente di Lombroso.  E, anche lì, il suo obiettivo non è stato l’accoglienza allo sportello ma l’assalto allo sportello. Non vuole cambiare e migliorare l’impiego, vuole fargliela pagare all’impiegato.

     Nessuno può negare che l’Italia è  incapace di misurarsi con il mercato, in nome della famiglia, della clientela, del clan, per la salvaguardia delle prerogative e degli interessi costituiti, si tratti di pescivendoli che fanno incetta di licenze o di politici che si aumentano gli stipendi e mettono a carico degli italiani mogli, figli e parenti, tutti da eleggere nella corporazione dei parlamentari, o si tratti di università dove la successione nelle cattedre sembra la dinastia dei Luigi di Francia, i quali si accanirono ben sedici volte, sino alla ghigliottina. Ebbene cosa ha fatto Brunetta? Nel 2011 ha dichiarato guerra, nientemeno, al 1968.  Il sessantotto è stato il suo fantasma, al sessantotto doveva fargliela pagare.

     Nelle università i figli subentrano ai padri nella titolarità degli insegnamenti in consapevole opposizione alle regole del mercato e con la faccia tosta di ritenere che il criterio cooptativo-corporativo assicura la qualità professionale. Ma  Brunetta vorrebbe tagliare gli stipendi dei professori di liceo meno pagati d’Europa.  Sono infatti  quasi tutti di sinistra, quella sinistra che lo tenne ai margini, la sinistra che non lo capì, la sinistra che gli chiuse le porte delle grandi case editrici, della cultura ‘alta’, dei salotti: bisognava fargliela pagare.

     E’ legittimo sostenere che la famosa flessibilità sia un valore di libertà. E si può flettere la flessibilità sin a includervi il pubblico impiego. L’ argomento e’ serio. E merita un po’ di ri-flessione prima di  arrivare all’inflessibiltà di Brunetta. Un ministro socialista comincerebbe coll’ammettere che la flessibilità, pensiero importato, è certamente un valore epocale che comporta tuttavia rischi gravi, trasforma la vita degli uomini in un’ avventura, estirpa radici, e ci costringe tutti a fletterci secondo il soffio delle opportunità , senza più le rigidità della certezza, senza la protezione e il conforto, per quanto frustranti siano, degli scatti di anzianità e di tutto il resto.

    Ci dicono  che nel mondo della flessibilità una folata di vento potrebbe farci perdere il lavoro, ma che la successiva ci rimetterebbe subito sul mercato, con la possibilità di avere tanti primi giorni, di provare vite nuove, di reincarnarci senza ricorrere al sogno della metempsicosi. Proprio come vuole, almeno in teoria, il modello americano, che è appunto la Bibbia della flessibilità .

    Slogan, tormentone culturale, parola d’ ordine e messaggio subliminale, la flessibilità dovrebbe segnare anche la fine dell’ eroe forzuto, del <mi spezzo ma non mi piego>, del tempo delle ideologie, dei padroni e delle fabbriche, del comunismo e del fascismo. La flessione moderna infatti è il contrario delle flessioni di Starace. L’ acciaio e il cemento armato hanno ceduto il posto alla flessibile plastica. La letteratura, la saggistica e il cinema sono ritornati a esaltare i nomadi e persino i vagabondi, le doppie identità , la sfumatura, l’ ambiguità , le flessibilità anche sessuali. Il Papa chiede contiuamente scusa per le violenze della inflessibilità cattolica e la sua inflessibilità sui temi etici rischia di spezzare la Chiesa che tutti auspicano più flessibile. Nel calcio si fluidifica e nella pallavolo anche l’ alzatore si inarca, si flette, schiaccia e si riflette. Mai l’ appartenenza politica destra-sinistra era stata così flessibile o, se preferite, così trasversale. Persino la natura, flettendo le stagioni, sovrappone estati e inverni, rendendoli irriconoscibili.

  Ebbene qual è la ricetta dell’inflessibile Brunetta? E’ la  via italiana alla flessibilità,  una violenza nostrana che serve solo a nascondere, con la retorica della flessibilità , l’inflessibilità del  solito rancore sociale che ripropone la più antica e la più arrogante delle legnate, cioè il licenziamento facile… Al solito Brunetta dunque che vuole “fargliela pagare” è giusto che sia stato contrapposto il vecchio motto dei rigidi: <Qui nessuno è flesso>.

    In Italia il tratto distintivo del mercato del lavoro, anche del lavoro usurante, non è il clientelismo, come qualcuno ha sostenuto, ma è il familismo, è la corporazione che si difende e si riproduce con la famiglia, è la premodernità come incapacità italiana di misurarsi con il mercato.  Ma Brunetta ce l’ha invece con gli studenti che manifestano per strada. Li odia, vuole fargliela pagare. E ha rivendicato a se il diritto-dovere, vale a dire l’arroganza di disciplinare il mondo. La sua intelligenza vivace è diventata bile, ha disegnato un universo vessatorio, intollerante e sbrigativo, e nel paese dei ladri, dell’abuso di stato, delle leggi ad personam, del familismo e delle corporazioni,  ha dichiarato guerra ai sindacati che lo bocciano e si ostinano a difendere il lavoro anche contro la produttività: qualcuno doveva fargliela pagare.

     Quella di Brunetta è la storia di un odio, di un malessere privato e personale proposto come filosofia di governo. Ma non bisogna pensare che sia solo pittoresco. Brunetta infatti è uno snodo importante e significativo dell’Italia nell’era del berlusconismo.  Esponente di quella che fu la gens nova berlusconiana,  Brunetta non è però un mascalzone, non sta dentro una cricca per sgraffignare. Non appartiene all’antropologia dei Verdini, dei Bertolaso, non telefona a Bisignani, non arraffa. A muoverlo non è l’interesse privato ma la vendetta privata. Il suo orizzonte, che poteva essere quello dell’energia, è stato quello della rivalsa, della rappresaglia: <se i precari vogliono lavorare perché non vanno a trasportare cassette di frutta?>.  Il suo modello sono le bancarelle di gondole  nelle calli di Venezia.

     E in tutti questi anni di potere Brunetta ha sempre urlato.  Lui non espone, fa schiamazzo. E non vuole confrontarsi con chi lo contesta ma vuole annullarlo. Non vuole cambiare ma distruggere. In questo senso è peggio dei mascalzoni: ci crede.

    Le polemiche con Brunetta cominciarono in allegria e sono finite in malinconia. E dunque questo libro, che le ripercorre al contrario, dalla fine all’inizio, si chiude nel godimento dialettico e si apre nel patimento.  Il Brunetta perdente infatti è drammatico.  Il lettore vedrà, per esempio, che c’è un articolo sulla sua candidatura a sindaco di Venezia ma non c’è un articolo sulla sua bocciatura,  quando appunto Brunetta fu ‘trombato’ dai suoi concittadini che si divertirono (è il verbo giusto) a non votare le sue sbruffonate. Non gli rinfacciarono certamente gli umili natali, ma proprio quella sua antropologia da fantuttone appunto,  un caratteraccio che non è carattere ma caricatura.  Nel suo piccolo di deità minore, Brunetta incarna il peggio del berlusconimo per bene. Perciò, nel disastro finale di un mondo e di un regime, sarebbe  elegante una rovina senza  troppo rumore. Entrato nel potere come un  mangiafuoco, tra polvere di zolfo e lampi di magnesio, sarebbe bello accompagnarlo fuori con dolcezza,  e guardarlo allontanarsi con la grazia di una nuvola che esce  da un  paesaggio.

    Temo invece che gliele faranno pagare tutte, che gli chiederanno il conto anche delle colpe che non ha e dei debiti che non ha mai contratto. Brunetta si prepara a pagare di persona perché non è nascosto e protetto dalla gang. E’ un kamikaze che si è fatto esplodere in mezzo ai precari, ai professori, agli impiegati…  Ma la precaria che egli ha maltrattato è diventata un’eroina mentre lui è per sempre su Youtube, protagonista dei video italiani più derisi, una specie di nichilista infilato appunto in un tubo senza uscita,  un budello di immagini dal quale verrebbe voglia di tirarlo fuori tendendogli una mano. Come tutta un’ epoca  può essere contenuta in un aforisma o in una barzelletta, e come la storia può essere scandita da singole ore fatali, dai celebri ‘Momenti’ di Stephen Zweig, così Brunetta è tutto dentro quei video cliccatssimi,  spasso di milioni di internauti. Condannato dentro un piccolo video-recipiente dove sbraita, sbuffa, si batte a duello, sempre con la sciabola in mano come appunto il personaggio di Campanile: Brunetta è finito dentroYoutube come quello finì dentro il portapillole.

9 thoughts on “BRUNETTA IL FANTUTTONE – ALIBERTI EDITORE / Prologo

  1. vuesse gaudio

    LA BIONDA MARILYN MONROE…CON BRUNETTA NO!…
    In una scheda in cui ricordavo Edoardo Sanguineti, a un certo punto tirai dentro la “teoria dei brevilinei e longilinei” di Amintore Fanfani: che è una elaborazione teorica secondo la quale nei periodi di benessere economico salgono al potere, è il caso proprio di dirlo, e sottolinearlo, individui brevilinei. La tirai dentro perché, nell’”Enciclopedia delle Scienze Anomale”[ FORSEQUENEAU. Enciclopedia delle Scienze Anomale di Paolo Albani e Paolo della Bella, Zanichelli 1999] seguiva la “teoria del brancolamento” di Sanguineti, con, in mezzo, André Breton…Insomma, una cosa tutta surreale!
    Detto questo, e sottolineata la relazione, che, a vederla adesso, è non solo surreale ma addirittura patafisica, come intende il termine Baudrillard, tra benessere economico e brevilinei al potere, dal bel testo di Merlo tiro fuori solo Marilyn Monroe che, con 1.62, essendo donna, non rientrerebbe tra le brevilinee, sarebbe una normolinea abbastanza atipica tra ecto e esomorfismo, con un “indice costituzionale”, a seconda del peso fluttuante, che oscillava tra -53 e +53 e un “indice del pondus” da considerare stabilmente “alto”, secondo la nostra forchetta 12-20[vedi:Oggetti d’amore. Somatologia dell’immagine e del sex-appeal, Scipioni Bootleg,Viterbo 1998]: basta osservarne l’assolutezza anonima nell’andatura a doppio binario sul marciapiede della stazione di “A qualcuno piace caldo”.

  2. Lidia Fontanet

    Caro Merlo, osservando la storia, si vede che di Brunetta ce ne siano stati parecchi. E che il loro climbing-appeal sia una vera pandemia. L’arrampiccamento come destino micro-cosmico per superare quell’oblio genetico dei centimetri ed il odio sordo ed anche autodistruttivo, come materia combustibile.

    Certo che dentro di tutto tiranno c’è un nano morale che statisticamente, parecchie volte, coincide con una mancanza di altezza fisica. Sembra una metafora compiuta nella realtà. Quella nanità pare che sia la forza per concentrare l’olio essenziale, prodotto dalla frustrazione in quelle piccole scattole. Un trauma personale sofferto da un nano morale, sembra che spesso diventi una malattia cronica e grave, invece lo stesso trauma sofferto da un’essere non nano, si possa convertire in una spinta per la compassione e l’eccellenza etica. Per essempio, Hitler -un quasi nano fisico e un’infinitesimale nano morale- era povero da giovane, orfano, la madre una serva, credeva di essere un genio della pittura, cominció a lavorare pure lui da servo a casa di una famiglia ebrea ricchissima, che lo apprezzava per compassione come fosse stato un figlio, ed anzi gli pagarono una scuola di pittura, che ovviamente non è servita a nulla, dato che quel “genio” era semplicemente un povero pazzo. Ma si sa che il pazzo di solito è chi mai se ne accorge del suo proprio male. Dopo un tempo, quando è diventato leader nazista, ha gettato tutta la sua frustrazione contro gli ebrei che sono stati i suoi tirannici padroni, gli è accusati di aver frustrata la sua carriera da Velazquez tedesco, di avergli regalato le vesti eleganti, i capotti caldi, nuovi…del figlio che era morto in piena gioventù. Ha covato un tale odio concentrato nel suo piccolo spazio, che poi è divenuto un mostro. Anche Francisco Franco, che per la sua incapacità inetelletuale è stato rifiutato da una logia massonica, nel dopo guerra se la prese con tutti i massoni, molti di cui, sono stati incarcerati anzi, assassinati, per il fatto di appartenere a quella società vietata al mostro, forse per non fargli acquistare una conoscenza che lo superava e gli avrebbe fatto samarrire ancor di piu’.

    Ma ci sono pure degli essempi riconfortanti in cui la poca altezza fisica è diventata una grandezza straordinaria. Ad esempio, Madre Teresa, era piccola, povera e cattolica romana -cioé sottomesa- in un paese cattolico ortodosso. Non era bella né seduttrice. Invece ha fatto una vera alchimia spirituale, ha preso la sua rabbia e superato tuto complesso, per fare la rivoluzione della compassione, abbandonando la scuola cattolica di Loreto per ragazze ricche dell’India, ha svegliato quelle allunne portandole ai quartieri piu’ poveri, le ha fatte scoprire in diretta la morte, la malattia, il dolore e la vecchiaia degli abbandonati, como fece Budda da sè stesso. E così ha cominciato un vero miracolo, soprattutto in una società divisa tra le caste, in cui nessun brahamano si sporcava per aver cura personale di un paria.
    Un altro nano meraviglioso è stato Francesco d’Assisi ed un’altro Giovanni della Croce. Entrambi due, eccelsi, benchè perseguitati, dinunziati ed emarginati dai loro compagni religiosi -nani anche loro, ma questi all’interno- , invece quei due hanno coinvolto e travolto la coscienza dei cristiani “normali” ed hanno aperto le porte della mistica come una via possibile di conoscenza e di condotta per trascendere la nanità propria degli ignoranti e veramente poveri dai risorse evolutive. Lo hanno fatto dalla poesia sublime dei fatti quotidiani.

    Ossia, caro Merlo, che i Brunetta, i Hitler i Franco, i Pinochet, potrebbero scegliere tra gestire la loro nanità in un’altro modo. Peccato che, una volta assorbiti nel pazzesco torrente del potere, perdano tutto senso di misura, tutta lucidità e tutta la capacittà per corregersi e ripartire da zero. Peccato pure che i poveri cittadini che nemmeno gli votano né gli apprezzano e forse neppure gli conoscano, devano sopportare stoicamente il loro smarrimento da manicomio.

  3. vuesse gaudio

    DAL FORMULARIO DI ESAME ENDOCRINOLOGICO DI PENDE, IL BREVILINEO DI FANFANI CHE ASCENDE AL POTERE NEI PERIODI DI GRANDE BENESSERE ECONOMICO, COME L’ATTUALE, POTREBBE ESSERE UN TIPO CRETINICO MA A FUNZIONE SESSUALE ENERGICA

    Posto lo status brevilineo correlato con la funzione endocrinologica ipotiroidea e ipergenitalica, avremmo, dal formulario di Nicola Pende, per chi sale al potere nei tempi del benessere economico:
    il tipo gozzuto semplice endemico(ipt)
    il tipo cretinico(ipt)
    il tipo mixedematoso(ipt)

    con le deviazioni morfologiche:
    senilismo(ipt)
    nanismo(ipG)
    con facies:
    infantile(ipt)
    mixedematosa(ipt)
    cretinica(ipt)
    mongoloide(ipt)
    clorotica(ipG)

    muscoli scheletrici:
    ipoplasici, ipotrofici(ipt)
    notevolmente sviluppati(ipG)
    pseudo ipertrofici(ipt)
    astenici ed atonici(ipt)

    con genitali esterni ed interni:
    ipoplasici od ipotrofici(ipt)
    a sviluppo tardivo(ipt)
    a sviluppo precoce(ipG)
    iperplastici(ipG)

    funzione sessuale e psicosessualità:
    attività sessuale prolungata(ipG)
    ritardo(ipt)
    funzione energica(ipG)

    metabolismo:
    rallentamento del ricambio generale e dei processi di ossidazione(ipt)
    ricambio dell’albumina diminuito(ipt)
    ricambio del cloro e dell’acqua:ritenzione(ipt)
    tendenza all’accumulo dei grassi(ipt)

    sistema nervoso e vegetativo:
    scarsa sensibilità all’adrenalina(ipt)
    ipotermoreazione atropica positiva(ipt)
    bradicardia(ipt)
    ipoperistalsi intestinale(ipt)
    incontinenza dello sfintere vescicale(ipt)

    sistema nervoso di relazione e psiche:
    stati apatici e di depressione(ipt)
    sordomutismo, linguaggio deficiente(ipt)
    intelligenza poco sviluppata, ottusa; idiozia(ipt)
    organi digestivi:
    oliguria con scarso potere di concentrazione(ipt)
    achilia ed ipochilia gastrica(ipt)

    1. Lidia Fontanet

      Nei centri per persone disabili è noto come la funzione sessuale dei pazienti è troppo forte e scontrollata e gli si deve mantenere sotto una medicazione a base dei farmaci cui base chimica è il bromuro ed i suoi derivati.
      Gli affettati di cretinismo, hai ragione Vuesse Gaudio, sofrono anche da quei sintomi. Però credo che non sia quello il cretinismo del Brunetta. Le sue funzioni mentali non stanno affette da quelle incapacità incontrollabile. Come affermava Merlo in una frase scomparsa, quella roba di cretinismo è quello cognitivo. Fintamente cognitivo, of course. Cioè quello che mantiene apparentemente “normali” le funzioni intellettive e nasconde il cretinismo morale, cioè quell’incapacità piu’ vicina alla sociopatia che all’infirmità fisica. Un sociopata soffre in realtà un grado di cretinismo -una povertà di comprensione- che le impedisce la normalità nelle sue relazioni con i suoi dintorni. Non sa distinguere dove comincia il campo vitale degli altri e dove finisce quello suo, quindi invade, spia, abusa, attacca, le fa di tutti i colori, senza piu’ motivo delle sue obsessioni paranoiche. Questi sono i casi terribili che non si dettettano fino a quando il sistema organico non ce la fa piu’ dovuto agli eccessi senza controllo di questi individui la cui malattia consiste nel non capire dove, come e quando devono frenare i loro impolsi destruttivi per essi, per gli altri e per la società stessa, se in oltre hano raggiunto dei posti pubblici di responsabilità, che di solito non riescono a prendere se non è per ricambio di favori o compravendita. È pratticamente impossibile che svuluppino con successo una carriera nella quale devano lavorare troppo dall’intelligenza. Lo fanno di solito dalla furberia, dalle viscere e dalle trappole. Èccolo qui il ritratto-robot. Il modello cretinico-sociopatico. Niente che vedere coi poveri disabili cretini completti, che devono essere medicati e tenuti a riparo della vita quotidiana. Per la loro propria sicurezza. Molto piu’ pericolosi diventano quelli che apparentano una normalità che non hanno, e gli si prende come sani, invece quelli dovrebbero essere tenuti ad occhio per la sicurezza degli altri. Sono i Brunetta, i Hitler, e quell’ect triste che la storia racconta a volte ed altre sepolta nel silenzio delle cenere al vento o nel ghiaccio della dimenticanza.

  4. Luigi Altea

    Mi fa piacere, dott. Merlo, apprendere che lei riesce a non agitarsi pur non essendo alto di statura. E fa benissimo. Pare, infatti, che Bossi fosse agitatissimo la notte in cui cadde dal letto, fratturandosi il gomito. Ecco perché a Brunetta converrebbe o darsi una calmata o farsi puntellare la culla.

  5. ross

    Francesco,…sei un grande…..hahahahahahahahahhah godo ad ogni tuo articolo di gran gusto..riesci con la tua penna a rendere questa vita per quello che è…riuscire a divertire le menti più sensibili alla sottilissima caciara che riesci a mettere in ogni articolo che mi produce uno stato di benessere fisico che mi conferrisce uno spunto importante a livello celebrale.GENERALE..Leggo ogni tuo articolo e nella valutazione mi baso sempre sul grado di allegria briosità e immancabile riso che LA LETTURA mi trasmette..grazie per esserci..un cordiale e affettuoso saluto….

  6. Federica giuliano & cappuccio

    Caro Merlo, abbiamo ascoltato il suo audiocommento di repubblica sulla manifestazione di oggi e riteniamo cordialmente che lei dica un bel po di cazzate inaudibili. La ringraziamo per il contributo all’inquinamento acustico di questo paese.
    Un saluto incappucciato
    Federica e Giuliano

  7. Ialkarn

    Non che abbia molta importanza ai fini dell’articolo, ma le ossa di Carlo Magno custodite ad Aquisgrana dimostrano inequivocabilmente che l’imperatore franco doveva essere alto 1.88.
    Seppure le testimonianze biografiche di Paolo Diacono gli attribuivano una statura ” non molto alta”.

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