Dobbiamo stare vicino a quei padri

Vorrei abbracciarlo quel povero papà perché sono papà come lui e so che il piccolo Jacopo è morto per uno dei paradossi dell´amore. Difatti pure io mi porto i figli dietro, in auto, mentre lavoro, al supermercato e, come ormai succede a moltissimi altri padri, mi piace essere anche la madre dei miei bambini, partecipare allo svezzamento, nutrirli e spupazzarmeli fisicamente, e magari lo faccio per surrogare quei nove mesi che mi mancano, chissà. Ma sono padre e dunque come madre sono goffo sino alla sbadataggine, sino alla distrazione o sino all´apprensività più ansiosa che è poi la medesima cosa, l´altra faccia della stessa inadeguatezza.
Certo, per istinto di autodifesa il mio primo pensiero è stato «a me non sarebbe successo». Ma non è vero. E anche Sergio Riganelli deve avere pensato la stessa cosa quando, la settimana scorsa, ha letto della piccola Elena che è morta a Teramo, dimenticata nell´auto dal suo papà: «Al mio Jacopo non potrebbe succedere mai». E invece è successo. E quel primo pensiero di presunzione io l´ho buttato via. Può infatti accadere a tutti i papà, e soprattutto ai papà più amorevoli del mondo perché sono quelli che hanno il complesso dell´ippocampo, l´unico animale maschio che prende su di sé la gestazione e si occupa lui delle uova. Ma è appunto lì che sta in agguato la disgrazia, nell´avere un cuore troppo grande e due occhi soltanto, nel volere fare quelle mille cose che mia zia “la signorina” avrebbe commentato cosi: «‘mbriachi e picciriddi, centu occhi li devono guardare».
Dunque la sola cosa che possiamo permetterci è sentirci solidali con quel che resta di un padre consapevole di avere ammazzato la persona che più amava al mondo. Deve essere così l´inferno: chiamare Jacopo e non averlo più o peggio sentirlo dentro come un fantasma, come un eterno rimorso, come un perenne nodo in mezzo al petto che ogni tanto ridiventa fuoco. E rivedere il suo sorriso senza mai più gioirne, immaginarne la vita, risentire sui polpastrelli il tepore della pelle e custodirne il ricordo nel cavo della mano. Questo papà è un vivo con la morte addosso. Gli si deve dare amore. Anche se è inutile, anche se non ne spegnerà il senso di colpa, se non lenirà il dolore suo e quello di mamma Eva, né tanto meno resusciterà il bimbo di 11 mesi che sulla riva del lago Trasimeno è morto asfissiato in un´auto arroventata dal sole. E mi viene in mente che un po´ di colpa ce l´ha anche la dannatissima macchina, che è diventata il nostro guscio di lumaca, la viviamo come un´appendice di casa e si sa che in casa ci si può dimenticare la caffettiera sul fuoco e anche il bambino che dorme senza che accada l´irreparabile. E´ di Buzzati quel piccolo capolavoro che è ‘La dimenticanza´ di una madre che aveva lasciato la bambina in casa e finalmente se ne ricordò mentre qualcuno le domandava se avesse chiuso l´acqua: «Ada divenne del colore della morte. D´improvviso le era venuto un pensiero orrendo… come se nella memoria si fosse aperto un buco … Il caldo! Immaginò la bambina ormai distrutta dal caldo e dalla fame e pensò che forse la pazzia comincia così». Ma neppure la fantasia di Buzzati nel 1950 poteva immaginare la morte nell´automobile-casa, in una scatola di latta che ovviamente si arroventa sotto il sole, automobile-culla, e chissà quanti altri bimbi non sono morti solo perché sono stati dimenticati in primavera o magari all´imbrunire di un´estate un po´ più dolce.
Ma le tragedie solo sfiorate sono tragedie cancellate che non ti lasciano neppure l´insegnamento di non farlo. A un mio amico è accaduto di chiacchierare al telefonino mentre suo figlio di tre anni in piscina perdeva il controllo e veniva salvato da un altro bimbo un po´ più grande. E c´è anche il caso del «ci vai tu o ci vado io?» che è il primo anello di una catena di sbadataggini che arrivano a valanga, una dietro l´altra, compresa quella di pagare al supermercato mentre il bimbo si allontana e prima si perde tra la folla e dopo raggiunge l´uscita e finisce in strada dove sfrecciano le macchine e dove si salva solo quando, preso dalla paura, comincia a piangere.
E dunque bisogna accostarsi e subito ritrarsi rispettosamente dinanzi a queste tragedie della distrazione, lasciare al giudice l´impaccio di gestire l´omicidio come un paradosso dell´amore paterno. A noi spetta di dire chiaro e forte che non c´è dolo e che nessuno psicanalista deve permettersi di immaginare padri che inconsapevolmente vogliono liberarsi della paternità e dunque ricorrono alla sbadataggine come a un trucco della coscienza. Abbiamo già letto le loro dichiarazioni, ci auguriamo di non sentirli e soprattutto di non vederli ‘incattedrati´ a Porta a Porta. E´ la solita intelligenza dei cretini che non è verificabile e dunque non è neppure contestabile. C´è una sola certezza in questa tragedia: è morto il figlio di un padre affettuoso, vittima dell´amore di suo padre. Sul lago Trasimeno le luci dell´amore sono diventate così abbaglianti da oscurare la vista.

5 thoughts on “Dobbiamo stare vicino a quei padri

  1. Francesco

    Caro Sig. Merlo, io non mi sento vicino a quel papà, a quei padri che dimenticano i figli in auto per ore, o in autostrada o a scuola rimembrando la loro esistenza perché qualcuno chiedeva loro se avessero chiuso l’acqua…. Essere genitori oggi non lo è come ieri?oppure lei vuole dirci che essere padri è un surrogato di mancanza verso quello che non ci è stato dato?sono sincero, non ho capito cosa volesse comunicare il suo articolo odierno su la repubblica, non ho inteso se il suo fosse un intervento a difesa di uno status maschile, o fosse la necessità di coprire un pensiero medio-borghese, o altro, buh, lo dica lei, lo dica meglio….
    Non sono padre, (ma sono un marito, zio, figlio,padrino…) sono ancora sprovvisto di tale onore, non onere badi bene, ma per professionalità ho visto e vedo le difficoltà delle famiglie, parola che lei non ha usato neanche una volta, si, famiglia, fatta da tante parole e non solo padre o madre, ho visto allontanare bambini dalle madri e ho partecipato ai progetti per recuperare con e per le persone che hanno avuto uno strappo o molti strappi nella loro vita, e che al supermercato non ci vanno o non riescono ad andarci, e che i loro bambini nella strada ci crescono senza ragazze alla pari o nonni-sitter!!!
    Quello che velocemente mi ha spinto a scriverle è la frase sui paradossi dell’amore….se passa l’idea che questi “gesti non voluti” ( così ci liberiamo dell’assunto del dolo e degli intrecci della psicanalisi) o tragedie della distrazione siano parentesi quadre all’interno della vita beh allora, sinceramente, credo che esistano corsie differenti per le persone, e che non si può passare per giustizialisti se si vorrebbe un approfondimento, non televisivo ma complessivo su quello che sta accadendo alla famiglia, alle genitorialità, ai padri e alle madri tutte, pensando e partendo dai loro bambini, senza fare chiacchiere da salotto, ma ponendo degli aiuti, perché essere genitori non è mai stato semplice,ma neanche “luci dell’amore diventate così abbaglianti da oscurare la vista”.
    Sono vicino, per quello che può significare, a quello o altri papà, ma non compassionevole come pare invece lo sia lei.

    Francesco Fiore

  2. Fabrizio

    La ringrazio dell’articolo, ha espresso cio’ che sto pensando da alcuni giorni. Anch’io padre mi sono rivisto in alcune circostanze da lei scritte.
    Non ci sono altre parole da spendere. Solo dolore.
    Fabrizio.

  3. simonetta

    la nostra paura più grande di genitori, padri e madri alla stessa maniera, e di non essere all’altezza di questo meraviglioso terribile compito. non è forse per questo che ci assillano incubi ricorrenti di possibili disgrazie che esulano il nostro controllo, o per le quali temiano di non esssere in grado di poter intervenire? ( da ex terremotata il mio pet terror è proprio quello, e quando mi è capitato di essere in casa durante una scossa, ho ringraziato dio che mio figlio fosse casualmente già in giardino con il padre). quale incubo peggiore di essere effettivamente responsabili della morte del prorio figlio? quale possibile serenità potrà mai esserci nella vita di quell’uomo? io non mi sento di poter giudicare, solo compatire. l’ambivalenza mi ha ancompagnato in tutti gli ultimi 8 anni di maternità, certe volte una parte (ancora bambina, evidentemente) di me vorrebbe andarsene urlando. tutto il resto del tempo mi godo felice le due creature più belle della mia vita. forse se tutti accettiamo e parliamo dei sacrifici della genitorialità e dell’ambivalenza che ci accompagna, non sarà più un tabù e potrà essere una cosa che tutti teniamo d’occhio senza sensi di colpa, senza seppellirla pensando con colpa di essere gli unici a provarla. un beneficio per tutti.

  4. Marco Sostegni

    Non voglio fare sociologia spicciola…
    Non mi piace giudicare i fatti specifici. Ma li giudico: anch’io ho delle dimenticanze.
    Possiamo dare la colpa al bombardamento di messaggi per lavoro, per piacere, il lavoro sempre più frazionato… e la de-responsabilizzazione che accompagna certe generazioni (la mia compresa) nate e cresciute in un periodo di sicurezza economica.
    Parlo degli anni 60/70/80. In parte.

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