William e Wojtyla / La corona e l ‘ aureola

La corona e l'aureola Il bacio tra Kate e William

Per non stare con i piedi per terra, ma poggiarli comodamente sulle nuvole, celebriamo a Londra l’amore da favola e a Roma il bisogno urgente di miracoli. In quale secolo del passato stiamo vivendo questo strano, magico weekend del papa e del re?

SOLO la luce della televisione e l’ombra delle misure antiterrorismo rimangono a rappresentare la nostra modernità estenuata in questo stupefacente doppio ritorno al santo ed al principe a Roma e a Londra, capitali gemelle del mondo che si ricovera nell’antichità, luoghi magici dove l’umanità, per uscire dalla storia, si rifugia nei riti, nei miti, nella liturgia.

C’è insomma tutta la stanchezza della terra che trova un momento di pace e si concede una tregua nello sfarzo delle carrozze dorate tirate dai cavalli e nella coralità delle porpore cardinalizie e delle vesti nere al di fuori dal tempo angustiato di Fukushima e dei tornado, dei kamikaze a Marrakesh e delle bombe per la democrazia. In tv hanno mostrato il primo piano di una vecchia signora, forse una contessa, che sprofonda in una buffa riverenza, mentre a Roma aprono i sotterranei dove è stato sepolto Wojtyla e tutti, credenti e atei, siamo comunque felici dell’idea che la tomba non stia sotto terra ma sopra il cielo.

Londra e Roma, vale a dire le sedi degli imperi più vasti e forse più antichi della storia, sono state restituite alle cerimonie, ai protocolli, e alle etichette più inattuali e tuttavia più allegre e popolari, e non solo perché non c’è nulla di più inattuale dell’allegria ma anche perché quanto meno te l’aspetti i miti sovrastorici ritornano, si infilano nel cappellino giallo della regina e nella simpatia di un gruppo di suorine che avanzano trattenendo con le mani i cappucci bianchi

e neri agitati dal vento di via della Conciliazione, come nella Roma di Fellini.

Nel cuore dello storicismo e del razionalismo li sentiamo fare capolino, i miti, per esempio durante certe feste patronali o magari nelle riunioni di famiglia e persino nelle passeggiate in una piazza di paese. Ma sono addirittura sfacciati qui, nell’esibizione dei bellissimi corpi vivi a Londra e nel culto del corpo morto a Roma. Per la verità su quel corpo santo si accanirono da vivo, quando era ridotto ad un involucro ed era tormentato dai medici e dagli assistenti, esposto all’amore, pasto regale dei fedeli affamati d’anima.

Ma anche a Londra si celebra il mito del corpo sacro, del corpo dello sciamano, del taumaturgo medievale in quell’estremo compito assegnato a un agente dei servizi segreti che, travestito da guardia reale, deve coprire il principe William con tutto se stesso in caso di attentato, deve buttarsi su di lui e prendersi le eventuali pallottole al suo posto. È insomma votato al sacrificio per il suo principe, ma non per Kate che non ha il sigillo del sacro perché non ha sangue reale. C’è qui la stessa antichità dei kamikaze delle sette islamiche, e i poliziotti di Scotland Yard sono come i seguaci del Vecchio della Montagna e come i soldati che si immolavano per Riccardo Cuor di Leone: è sempre il dovere che alimenta il mito.

Ma c’è un altro mito, dolce e romantico, del quale siamo tutti responsabili in quel giovanotto in divisa militare rossa e in quella fanciulla sorridente, festosa, con tutti quei capelli bruni pettinati all’indietro in lente onde irregolari sulle spalle: è il mito del principe azzurro e della fatina. E non ci sembra per nulla ridicolo, e anzi siamo virtualmente tutti intruppati con i milioni di pellegrini e con i miliardi di telespettatori, tra sacchi a pelo e abiti di gala, l’anello e il doppio bacio, lo strascico ricamato e le esibizioni della Royal Air Force e i mille simboli che nessuno sa decodificare ma che trasmettono la stessa forza dei paramenti vaticani a Roma. È vero che fanno sorridere i nostri telecronisti quando si compiacciono ad alzare il tono della voce per far udire meglio la parola «Maestà», e diventano addirittura caricaturali quando si lanciano in disquisizioni sulla santità del Papa, tutti mistici e devoti monomaniaci, tutti ermeneuti della Trinità, tutti professori di Cristologia.

E però non sono loro, ma siamo noi i veri registi: sono gli occhi collettivi del mondo che assegnano a William e a Kate i ruoli di principe azzurro e di fatina, e siamo sempre noi che, atei o credenti, assecondiamo comunque volentieri l’idea di candeggiare la morte facendo tutti finta che lì, nella tomba che stanno riportando fuori, non ci siano vermi ma lievito divino. Dunque almeno per due giorni siamo tutti come il guardiacaccia del Gattopardo che non voleva vedere l’ignobile Sedara prendere possesso della casa dei Salina e perciò si lasciava rinchiudere, per due giorni appunto: quarantotto ore lontano dalla brutta e insopportabile realtà, proprio come noi che abbiamo la fortuna di chiuderci da soli negli spettacoli della beatificazione del Papa e del matrimonio del principe, che sono entrambi due riti televisivi di bellezza corale e colorata e di riproduzione e di confermazione. Il matrimonio serve infatti a dare l’erede al popolo e a confermare il potere della monarchia, e la beatificazione a dare un santo al popolo e a confermare il potere della chiesa. Solo il carisma del re o del santo può legittimare il crisma del rito.

Ed è religioso quel che è accaduto a Londra anche perché il re non solo è il simbolo della storia profonda di ciascuno e di tutti gli inglesi, ma detiene il potere spirituale. Al contrario in Italia dove i Savoia hanno seppellito la monarchia in un imprendibile territorio di miseria facendone un valore negato, il Papa ha spesso riempito il vuoto della politica ed è ovviamente un guaio per il paese dove anche gli atei hanno l’oscuro sentimento che il rito, la religione, la cerimonia e il culto dei santi sono nella nostra storia nazionale come l’inchiostro in cui si avvolge la seppia.

Alla fine aggrappati ad un papa morto e ad un principe vivo come fossero un controveleno, una boccata d’ossigeno contro il soffocamento della storia, scopriamo che quello dei miti e dei riti è un universo ben strutturato e perciò questo nostro magico e inattuale week end non sarà solo il bel valzer laico ballato sulle nuvole tra Roma e Londra con tutte le regine e con tutti i cardinali del mondo.

3 thoughts on “William e Wojtyla / La corona e l ‘ aureola

  1. Asqunts

    Quanto livore, quanto odio, quanta violenza gratuita, dott. Merlo! Persino sul sito de “La Repubblica” si sono affannati a togliere quest’articolo, nel breve volgere di una mattinata…

    1. Luciano

      Livore, odio, violenza gratuita? Ma che articolo ha letto Asqunts? E’ proprio vero che si può leggere storto anche nelle righe diritte e questo lettore ha visto un film che ha girato da solo nella sua mente un po’ squinternata, vedendo nero dove c’é l’azzurro. Poveretto.

  2. Asqunts

    Beh, Luciano, io vedo nero dove c’è nero. O, come nel caso del dott. Merlo, dove c’è livore e odio. Se, poi, l’azzurro è dare del poveretto ad una persona che nemmeno si conosce…

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