PROFESSIONE REPORTER

   (IL VENERDI  DI REPUBBLICA)    Le immagini della violenza che ha subito il giovane Cristiano, con l’aggressore che si stacca dal corteo degli studenti e lo tramortisce a colpi di casco, hanno fatto il giro del mondo, ma non sono firmate da un professionista della notizia. Sono l’ informazione anonima, spontanea, che si riversa a fiotti nei siti Internet come dentro un sacco: fatti sciamannati che spesso non danno senso al mondo ma anzi glielo tolgono, notizie che non rispettano la tessera dell’Ordine e il contratto nazionale, ma che spiazzano sia il poliziotto che le usa per identificare e accusare, sia l’avvocato che vi attinge per scagionare e per difendere.

     Ma l’informazione  che non rispetta i codici e le sue affliggenti parole come <inchiesta>, <reportage>, <deontologia>, <linea politica>, <tutta la verità su…>   stordisce soprattutto il reporter di professione finalmente costretto a farsi sorprendere da una realtà che non sta già confezionata nella sua testa né in quella dei suoi capiredattori e dei suoi capiservizio. Anche le immagini dell’esplosione nella stazione di Viareggio e quelle della frana di fango di Giampilieri sono state girate dai nuovi protagonisti della notizia, personaggi anonimi perché tipici e ripetitivi, passanti umili e scanzonati, che non hanno appartenenza ma che usano il telefonino in modo naturale come un sesto senso. Pure la bestemmia pronunziata da Berlusconi durante uno dei suoi tanti improvvisati bagni di folla è stata filmata e registrata da un iphone corsaro. E ci sono poi le notizie riprese dall’occhio invisibile che sorveglia tutti i luoghi sensibili. L’ aggressione e l’uccisione della  signora rumena Maricica Hahaianu, 32 anni, alla stazione  Termini è stata filmata da un telecamera automatica. E così quel killer  di Napoli che tutto il mondo ha visto mentre uccideva.

     L’iphone, che sta imbiancando i capelli dei cronisti, è il nuovo organo vincente  dell’informazione senza autore. Più veloce dell’intelligenza, è allo stesso tempo occhio e orecchio, ed impedisce di mettere i fatti in riga a noi cronisti che ci appostavamo come cecchini aspettando quella notizia che, peraltro, non passava mai per caso. E’ questo il punto: prima il fatto diventava notizia solo quando c’eravamo noi.  Eravamo noi cronisti a costruire la notizia. Adesso è la notizia che costruisce noi cronisti.

    Ai politici italiani, per esempio, noi rubavamo ‘le piccole frasi’ perché andavamo a caccia della doppia verità, dei dettagli incustoditi, privi di controllo, liberati e liberanti in un mondo che allora era paludato, controllato, ufficiale. Molti anni fa,  davanti alla Camera, gli studenti del movimento della Pantera scandivano i loro slogan contro il Potere e il Palazzo. Ebbene noi giornalisti ci accorgemmo che in una strada laterale arrivava De Mita che a quei tempi pienamente rappresentava Potere e Palazzo. Corremmo dagli studenti per avvisarli: <Lì c’è De Mita>. E poi corremmo da De Mita per chiedergli cosa pensasse degli studenti che sul muso gli scandivano <Macché democrazia / macché cristiana / ladri, mafiosi e figli di puttana>. De Mita, che sa essere spiritoso, ci disse <non capisco perché figli di puttana>. E non era solo una battuta, era un’epifania, un outing, perché quello era il tempo in cui la Dc voleva davvero liberarsi dei ladri e dei mafiosi. E  infatti ci riuscì così bene che poco tempo dopo il partito si suicidò.

    Oggi la Bild, che, con i suoi tre milioni di copie al giorno, è il quotidiano più venduto d’ Europa, ha distribuito ai suoi lettori più accaniti sessantamila minicamere (seimila gratis e 54mila a prezzo politico) e ogni giorno le sue edizioni, di carta e on line, ricevono migliaia di foto e di video. La Bild paga (bene) solo quelle che pubblica. Queste minicamere producono informazione ‘sporca’ e poco nitida ma proprio per questo più ‘vera’, più croccante e dunque molto più gradita dal pubblico. Ebbene  hanno un bellissimo nome italiano, <vado>, che rilancia l’eterna nostra disputa tra il giornalismo dell’andare a vedere e quello dello stare a sedere. Dove deve andare oggi il reporter di professione se è la notizia che viene da lui?  E cosa volete che faccia una “casta” di professionisti della notizia quando si accorge che la notizia nasce altrove ? Pensate che la casta dei reporter si suicidi, come fece la Dc?

      Ecco dunque perché in Italia i giornalisti tendono a sostituire la caccia alla notizia con l’accanimento sulla notizia. Passano per bravi, anzi per i più bravi, quelli che si specializzano in orrori,  si dilungano, lambiccano e spalmano i peggiori dettagli che non hanno trovato da se stessi. E’ il caso del Bruno Vespa che ricostruisce la ferocia di Cogne, è la tv che occupa la città di Avetrano, è la moviola del dolore del ‘Chi l’ha visto?’ che si avventa su una madre,  è il cronista che a Brembate cerca Yara, ma è anche il professionista che fabbrica fango per conto di una parte politica o per fare aumentare le copie di un giornale in crisi o molto più semplicemente per servire un padrone fisico.

    Ci fu un tempo in cui i migliori reporter italiani si formavano in quel vasto circolo di fratelli laici, quasi sempre ma non necessariamente di sinistra, che volevano arrivare disobbedendo così come gli atri, prima di loro, volevano arrivare obbedendo. Raccontammo le classi e lo Stato,  poi scoprimmo il fascino dei fatti <nudi e crudi> e, ancora, lo smascheramento e il retroscena. Ci accorgemmo poi  che il retroscena era truccato, venne il tempo dell’intimo autorizzato, D’Alema cucinò il risotto da Vespa e Berlusconi per apparire più spontaneo ha falsato foto, video, facce e famiglia. Molti di quei cronisti sono ascesi al trono, sono capi o capetti in Rai, a Mediaset o nei giornali asserviti, il conflitto di interessi ha trasformato i bravi e onesti giornalisti faziosi di una volta in militanti ciechi e sordi, un giubilante fraintendimento tende a chiamare carriere quel che al contrario è la fine di tante  carriere. I cronisti fighetti e un po’ pop che una volta leggevano Spoon River e  Prevert, che ricorrevano alla sociologia di Adorno o ai versi di Bob Dylan oggi leggono libri di denunzia, compilazioni di dettagli giudiziari, la storia della famiglia Moratti…, ricordo di avere litigato con Vittorio Corona (il papà di Fabrizio) sull’importanza dei libri di Fantozzi che comunque è infinitamente meglio degli attuali best seller. In Italia al libero reporter di professione che, resistendo al pop e all’accanimento, si è perduto in giornali asserviti, senza più notizie da trovare, aggredito da libri inutili, capita spesso di sentirsi superfluo perché, come direbbe Tunda, <più superfluo di lui non c’è nessuno in questo mondo>.

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